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Carlo A. Pelanda
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Il%20Foglio

2000-12-2

2/12/2000

La recessione sta finendo, non iniziando, e l’America è pronta al rimbalzo

Molti profetizzano che nel 2001 l’economia americana ed il dollaro andranno a picco. In realtà la locomotiva mondiale sta decelerando violentemente già dall’agosto scorso perché il capotreno, Alan Greenspan, ha azionato i freni d’emergenza (il rialzo dei tassi monetari) per evitare un deragliamento da eccesso di velocità e vibrazioni (la bolla borsistica del 1999). Il punto è che la recessione americana sta arrivando alla fine e non è all’inizio. Nel terzo trimestre del 2000 la crescita si è quasi dimezzata: dal 5,6% tendenziale al 2,4% annualizzato attuale. Dal marzo scorso il Nasdaq è in pieno sgonfiamento. Da aprile ad oggi nove su dieci aziende Internet sono state chiuse. Da mesi il sistema bancario è sotto tensione per l’aumento dei crediti inesigibili. D’altra parte solo ora la disoccupazione comincia a risalire. Ma è tipico che in una frenata economica alcune parti del ciclo economico si fermino prima, altre dopo. Poi, ad un certo punto, il tutto converge: la domanda si raffredda e l’offerta si adegua. Per esempio, fino ad un mese fa i consumatori erano ancora spendaccioni e mostravano di percepire con molto ritardo l’inversione del ciclo. Ma quando hanno visto che le Borse non rimbalzavano e che quest’anno non avrebbero incassato una rendita finanziaria buona come quella del passato hanno in pochi giorni modificato il proprio umore e chiuso il portafoglio. In sintesi, proprio in questi giorni la frenata americana sta allineando tutte le componenti del ciclo economico al ribasso (infatti l’inflazione è piatta). E per questo è il momento più critico: da qui può nascere una vera recessione (Pil negativo per due trimestri di seguito) oppure un rimbalzo. Quale dei due è il più probabile? Le vendite natalizie saranno un primo evento decisivo. Durante la settimana del Ringraziamento si è notato che la domanda, pur meno esuberante, reagisce ancora bene agli sconti. Quindi si può prevedere che i volumi dei consumi resteranno elevati. Ma il punto più critico riguarda la ripresa del Nasdaq. Il suo valore simbolico di traino è superiore a quello tecnico: se torna su, il segnale ottimistico sarà fortissimo. Gli investitori, dopo la fine della bolla, si sono rimessi a valutare un’azienda per quello che incassa e non per quanto promette. Bene, ma stanno esagerando, creando una sorta di deflazione psicologica. Le imprese lì quotate, in realtà, si sono già velocemente rimesse in linea con questo criterio più rigoroso e risultano sottovalutate. Per questo è prevedibile che alla prima buona notizia l’indice potrà ritornare tranquillamente oltre quota 3.000. Sarà un ribasso dei tassi, o l’attesa che avvenga, e la chiusura dell’incertezza presidenziale. Quando ciò si verificherà l’economia ripartirà con più slancio in quanto la breve recessione (tendenziale) ha creato più spazio di crescita per il 2001. In conclusione, ritengo improbabili un grippaggio della locomotiva americana e una discesa eccessiva del dollaro.

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