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Carlo A. Pelanda
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2009-1-6

6/1/2009

Auguri all’industria finaziaria

Per tutti noi è conveniente augurare all’industria finanziaria italiana (e globale) di ricostruire al più presto il ciclo tecnico del capitale abbondante devastato dalla crisi 2007-2008. Perché se non ci riuscirà il corpo dell’economia reale avrà meno sangue e deperirà.

Le banche non hanno ancora ripreso a prestarsi denaro e a fare operazioni finanziarie tra loro. In generale, percepiscono un elevato, pur residuo, “rischio di controparte”, cioè il timore che l’altro possa poi non ripagare il credito erogato. Per l’Italia, dove tale rischio è praticamente zero, probabilmente c’è un problema di liquidità disponibile. Nel 2009 andranno in scadenza volumi notevoli di obbligazioni che le banche dovranno pagare. Decine di miliardi. In situazione normale tale spesa è coperta emettendo altre obbligazioni finanziate dal mercato internazionale. Ma in quella odierna di “congelamento” le banche potrebbero non trovare chi compra nuove emissioni. Quindi le italiane devono procurarsi la liquidità necessaria per provvedere con mezzi propri. Dall’estate del 2007 la Bce, pur premendo per la ripresa dell’interbancario, presta soldi alle banche commerciali per superare tale problema. Ma chiede in garanzia titoli ad elevata affidabilità. Questo spiega perché recentemente le principali banche italiane abbiano impacchettato i crediti, per esempio mutui “in bonis”, per trasformarli in titoli  da vendere a “società veicolo” da loro possedute (autocartolarizzazione), per poi darli in garanzia alla Banca centrale in cambio di cassa con cui pagare, alla fine, le obbligazioni in scadenza. Da un lato tali operazioni, tecnicamente rimarchevoli, mettono in tranquillità le banche, dall’altro la liquidità così creata non va tutta a servizio del mercato. Per questo, nel primo semestre – già critico di suo per l’impatto della recessione globale in Italia - ci potrebbe essere una riduzione del credito. Lo stesso problema crea un’ulteriore restrizione. Se una banca può cartolarizzare un mutuo o un finanziamento - cioè venderlo rinunciando ad una parte del guadagno prospettico in cambio di cassa immediata – allora avrà il denaro per erogare un altro credito, e via così. Se non riesce avrà i soldi solo per un mutuo e non per due e più. Il risultato è una restrizione delle erogazioni, con effetto depressivo sul mercato. Cosa può risolvere questo problema? La ricostruzione dell’industria finanziaria e delle sue basi di fiducia. In particolare, la ricostruzione della capacità di poter “vendere rischio”. Se tanti sono disposti a comprarlo, globalmente, allora il ciclo del capitale si allarga ed i soldi diventano abbondanti. Questo lavoro lo fa, appunto, l’industria finanziaria specializzata. Ma ora è bloccata perchè in parte distrutta e, in generale, demonizzata, in Italia in modi esagerati ed irrealistici. Su questo punto cruciale l’opinione pubblica può essere influente. L’economia finanziarizzata è quella che ci rende ricchi grazie alla sua tecnica, un angelo, mentre demoni sono stati alcuni specifici attori e, soprattutto, la mancata vigilanza sui loro comportamenti (più in America che nell’eurozona). Non esiste la distinzione tra economia reale e finanziaria perché senza capitale non può esistere l’impresa. Se sapremo distinguere la realtà dalle fantasie emotive o ideologiche favoriremo la ricostruzione del sistema finanziario e della sua capacità di reggere operazioni a debito con rischio controllato e bilanciato. Ma care banche meritatevi  l’appello a darvi fiducia pulendo, lì dove ancora ci sia, il marcio al vostro interno. 

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