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Carlo A. Pelanda
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1998-1-30

30/1/1998

La questione dell'Irak ci riguarda da vicino

Bisogna cominciare a (ri)discutere con coraggio e realismo le questioni della sicurezza globale. Riguardano tutti noi, qui nelle nostre case, e non solo americani, mediorentali o asiatici. Vediamo questo punto generale che ci aiuta meglio a capire come trattare quello particolare dell'Irak, da qualche giorno in attesa di eventuale bombardamento unilaterale da parte degli Stati Uniti se non permette alla commissione ONU di cercare e distruggere le testate biochimiche (gas nervino e contaminatori epidemiologici) che Saddam Hussein ancora nasconde.

La guerra fredda aveva congelato, o per lo meno contenuto, le guerre nel pianeta. C'erano, ma ad un certo punto i due attori dell'ordine mondiale bipolare si mettevano d'accordo per farle finire e, soprattutto, per evitare che si estendessero costringendo Mosca e Washington ad un confronto diretto. In particolare, i due superpoteri cooperavano molto strettamente per evitare che altri Paesi assumero una capacità nucleare o, in generale, di distruzione di massa. Dal 1989 in poi questo ordine, pur instabile, é finito. Inoltre la tecnologia é evoluta ed il suo costo diminuito. Nello scenario di fine degli anni 90 ci troviamo con una miriade di Paesi emergenti dotati di potenziali missilistici, nucleari e soprattutto, biochimici. Anche piccoli Paesi come l'Irak o la Libia sono in grado di produrre armi chimiche perché il loro costo di produzione é minimo. Il punto su cui riflettere é che oggi ci troviamo di fronte ad una spaventosa proliferazione di armamamenti di distruzione di massa nelle mani di governi che - o per necessità o per loro cultura politica- ammettono l'uso della guerra per ottenere scopi di interesse geopolitico o geoeconomico (per esempio, dominare un territorio per influenzare il prezzo del petrolio). Cosa vuol dire questo? Che tutti noi siamo diventati improvvisamnte più esposti alle conseguenze di guerre nucleari o chimiche che possono scoppiare in Asia o nel Mediterraneo. E virus e radiazioni non conoscono frontiere. E' un problema reale.

E lo é sempre di più perché a questa proliferazione di armamenti di distruzione di massa in mani pericolose corrisponde un indebolimento del potere di controllarli e regolarli da parte dell'Occidente. L'alleanza tra Stati Uniti, europei e giapponesi, pur ancora in vita formalmente, é rotta nei fatti. Senza più la pressione sovietica é scoppiata la diversità di interessi tra gli ex-alleati. Di fatto gli Stati Uniti, unica potenza che ha la capacità tecnica e militare di tenere in ordine il pianeta, sono sempre più soli. Ulteriore complicazione é che gli europei non hanno la capacità tecnica di sostituire gli americani nel compito regolativo planetario e neanche nei loro dintorni (caso Bosnia). Nella questione dell'Irak gli europei si sono schierati contro l'intervento dissuasivo americano a vari livelli di intensità. Parigi esplicitamente contro, Bonn in silenzio, Roma tiepidina. Valutiamo il caso.

Il problema non é tanto che Parigi ed altri europei vogliano giocare una partita tutta loro nello scenario mediorientale. E' legittimo, infatti, tentare di avere più influenza nel definire il prezzo del petrolio, bilanciare la potenza americana, ecc. Il problema é vedere se questo approccio negoziale e non impositivo nei confronti degli islamici riesce veramente a ridurre la probabilità di conflitto nell'area. E la risposta é no.

Israele ha missili nucleari. I suoi vicini islamici anche (Iran) o possiedono armi chimiche (Irak e Libia). I profili di rischio sono due: (a) l'Iran che aspetta la prima buona occasione per impradonirsi del Golfo contro Arabia Saudita ed Emirati; (b) il conflitto pan-islamico contro Israele. Come si regola uno scenario caldo del genere? Solo mostrando a tutti gli attori che si é in grado di impedire qualsiasi conflitto. E per farlo con chiarezza si deve impiegare la forza preventivamente contro chi dimostra di non voler rinunciare ad armarsi oltre misura. E grazie a questo, poi, negoziare sul piano diplomatico. Israele non accetterà mai imposizioni da parte di Washington per chiudere la pace con i palestinesi fino a che non si sentirà sicura dal rischio di essere nuclearizzat o gasata. E l'azione degli americani per costringere Saddam a distruggere il suo potenziale missilistico-chimico residuo é un segnale di rassicuarazione che serve anche a questo. In sintesi, lì la pace ci sarà solo se qualcuno più forte di tutti é in grado di imporla allo stesso tempo rassicurando tutti.

Ma la divergenza tra europei ed americani indebolisce questi ultimi. Di conseguenza riduce le probabilità di pacificazione nell'area. Poi se un giorno scappa un missile a qualcuno, le conseguenze arriveranno fino a qua.

Conclusione. O gli europei assumono una capacità regolativa propria, sia politica che militare, e si rendono indipendenti da Washington oppure, se non sono in grado di farlo, si rimettono d'accordo con gli americani per attuare insieme e meglio il compito di sicurezza globale, per lo meno nel Mediterraneo. L'ambiguità di oggi su questo punto comporta solo un aumento del rischio per tutti noi.

(c) 1998 Carlo Pelanda
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