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Carlo Pelanda: 2017-2-14La Verità

2017-2-14

14/2/2017

L’Italia è forte ma si comporta come debole

Se prendessimo atto che l’Italia è una potenza industriale primaria nel pianeta e non un sistema debole, avremmo un parametro di riferimento chiaro con cui mettere a posto quello che non va. C’è qualcosa di miracoloso nella tenuta del sistema industriale italiano dopo la crisi recessiva del 2008, per caduta della fiducia globale, e quella peggiore da metà 2011 a quasi tutto il 2014, indotta dal crollo della fiducia sul debito nazionale e dalla medicina sbagliata del rigore depressivo, che ne ha distrutto quasi il 25% in relazione al 2007. Sorprende, infatti, che nel dicembre scorso la produzione industriale italiana sia stata la più alta del periodo in Europa. Ciò porterà il Pil 2016 un po’ più su di quanto previsto, tra lo 0,9% e l’1%. Da un lato, c’è la conferma che la ripresa, pur in lieve accelerazione, sia poca e lenta, fatto che fa prevedere alla Commissione europea un miglioramento della crescita italiana 2017-18 solo un po’ sopra l’1% e solo grazie al traino dei mercati esterni, quello interno bloccato da inefficienze irriformate, in una situazione di grande vulnerabilità dell’Italia a scossoni sia globali sia europei a causa del suo debito. Dall’altro, la buona prestazione dell’industria italiana pur in condizioni avverse di sistema interno, che sembra continuare anche in gennaio e febbraio, mostra un potenziale rilevante. Se lo sviluppo delle aziende fosse più sostenuto da facilitazioni fiscali, de-burocratizzazioni, investimenti pubblici sulle infrastrutture che aumentano l’efficienza sistemica e, soprattutto, da misure per la creazione di un mercato dei capitali funzionante e di una più rapida riparazione del sistema bancario, la “fabbrica Italia” trainerebbe l’intera economia nazionale verso un boom duraturo, con effetti diffusi sul piano dell’occupazione e dell’aumento dei redditi. Cosa manca per ottenerlo? Un “progetto nazionale” che si basi sull’immagine di un’Italia che può essere forte e che per questo si riorganizza per diventarlo veramente mettendo al centro della politica il potenziamento dell’industria e tutte le misure che servono per tale scopo con un ampio consenso. Prima di tutto bisognerebbe abbattere una parte del debito mettendo in vendita un’aliquota del patrimonio pubblico allo scopo di far cessare i dubbi sulla stabilità dell’Italia. Segnalazione di contingenza a Padoan: il solo annuncio che l’Italia si prepari a fare un’operazione patrimonio contro debito, per esempio tra i 200 e i 400 miliardi spalmati in tre-cinque anni, predisponendo subito gli strumenti per attuarla (censimento dei beni, centralizzazione della loro proprietà, veicoli di cartolarizzazione e valorizzazione, ecc.) riceverebbe un forte e immediato premio di fiducia dal mercato internazionale. Questo darebbe impulso al finanziamento delle imprese e ai loro investimenti e renderebbe più veloce la riparazione bancaria. La seconda priorità è scaricare il più possibile le imprese da costi sistemici e fiscali, creando uno spazio maggiore nel bilancio statale per detassazioni, tagliando spese inutili (ce ne sono almeno per 30 miliardi). La terza priorità è concentrare gli investimenti pubblici sulle infrastrutture che portano efficienza, in particolare quelle necessarie per la digitalizzazione dei processi produttivi e delle relazioni commerciali. E tanto altro. In sintesi: rimodellare tutto il sistema italiano per massimizzare la competitività del sistema industriale. Chi lo propone? Ora nessuno, ma il punto è un altro: chi si accorge e trasforma in visione politica il fatto che l’Italia è una nazione forte grazie alla capacità industriale e che tale forza non emerge perché non ne liberiamo il potenziale pur potendolo fare con misure relativamente semplici? Quali leader se la sentono di portare gli elettori a pensare in termini di Italia forte, che quindi deve fare cose conseguenti, rovesciando l’immagine di una nazione debole incapace di cambiare che o deve sciogliersi in Europa oppure uscirne come chi inadeguato si trova a disagio con i grandi? In sintesi, dobbiamo rispondere alla domanda se siamo forti o deboli e tale risposta produrrà la conseguenza, in forma di pressione popolare, di darci o meno un progetto nazionale, realistico, per diventare grandi alla pari, e più, con i grandi stessi. Al momento siamo debolissimi e ciò è dimostrato dal fatto che la politica cincischia sulla data delle elezioni con criteri politichesi senza pensare all’interesse nazionale. Questo è evidente: la prossima finanziaria dovrà cambiare tante cose e per questo dovrà essere proposta da un governo e da un Parlamento all’inizio della legislatura, cosa che implica elezioni al più tardi a settembre. Se, infatti, venisse fatta da questo governo e Parlamento, in fase di campagna elettorale, non cambierebbe niente e ciò confermerebbe il disordine dell’Italia e toglierebbe le ali all’industria italiana che se le sta facendo ricrescere. Se vogliamo volare, invece di strisciare o fuggire, cominciamo da qui.

(c) 2017 Carlo Pelanda
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