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Carlo Pelanda: 2023-6-4La Verità

2023-6-4

4/6/2023

Serve una nuova Borsa tecnologica per unire capitale ed innovazione

C’è un gap per lo sviluppo futuro dell’economia italiana che richiede l’ingaggio del capitale privato: il potenziale di capacità innovativa dell’Italia è molto cresciuto negli ultimi anni, ma a tale crescita non corrisponde un flusso corrispondente di soldi privati che la finanzi. Non solo: l’analisi dei giovani cervelli che lasciano l’Italia per collocarsi professionalmente in altri luoghi d’Europa o negli Stati Uniti attratti da salari più elevati mostra una percentuale di individui che migrano per realizzare start up innovative in luoghi dove il loro finanziamento trova investitori e architetture di mercato predisposte alla valorizzazione dell’innovazione. Chi scrive ha una posizione accademica, ma anche una nel mondo degli investimenti che gli permette una visione aggiornata nel settore. Nell’ultimo biennio, e  in aumento nei mesi scorsi, ha ricevuto o visionato centinaia di dossier con buone idee tecnologiche sviluppate da università o giovani imprenditori: alcuni di questi hanno trovato opportunità per strutturare la start up entro un incubatore/acceleratore  e/o ottenere una piccola somma da fondi pubblici, di meno sono riusciti a ricevere investimenti adeguati dai pochi fondi di Venture Capital operanti in Italia, ancora meno sono riusciti a far quotare l’idea e la prima dimostrazione operativa del modello di business in piazze finanziarie dove circola molto capitale di rischio affamato di novità, per esempio Londra. Ma la maggior parte del pensiero innovativo tende a restare senza capitale sufficiente per trasformarsi in impresa. Qui c’è il gap che sta prendendo scala di problema sistemico.

Lo Stato fa quello che può con soldi pubblici, anche attraverso l’Ue, per sostenere l’innovazione. Il governo in carica mostra di aver colto la priorità di colmare il gap detto, ma lo spazio fiscale è piccolo. E anche se fosse di più, il gap va ridotto ed invertito creando luoghi di attrazione per il capitale privato, non necessariamente spendendo più soldi pubblici (a parte i programmi strategici macro che richiedono grandi concentrazioni di capitale di investimento con ritorno troppo lungo per essere sostenibili dagli attori privati). È il soldo privato che, per lo più, crea la massa necessaria per un’impresa innovativa. Ed il soldo pubblico dato come piccolo “seme” ad una start up trova produttività se poi l’impresa nascente trova un luogo di mercato dove possa essere presentata, ed eventualmente apprezzata, dal capitale privato. Un tale luogo dedicato alle imprese tecnologiche nascenti manca in Italia.

E’ importante essere precisi su questo punto. Il governo ha appena varato una normativa che facilita, notevolmente, la quotazione di piccole e medie imprese su Borsa Italiana, Milano, che è di proprietà del sistema di Borse europee, Euronext, franco-olandese, con dentro lo Stato francese. La facilitazione è spinta dalla necessità di trasferire più risparmio italiano su investimenti nell’economia reale italiana. E’ un ottimo passo. In particolare lo è per il segmento “Euronext Growth Milan” (Ex Aim) dedicato alle piccole imprese: possono fare una quotazione con vincoli regolamentari meno pesanti di quelli prescritti – e vigilati da Consob – per i segmenti di livello superiore per capitalizzazione. Ma questo buon passo riguarda aziende già strutturate, pur piccole, non quelle nascenti che hanno bisogno di creare fiducia/scommessa per gli investitori sull’idea tecnologica e/o di business non potendo ancora mostrare il bilancio di un’attività sviluppata. Potrebbe Euronext creare una pre-Borsa ed altri servizi di presentazione delle start up e di eventuale loro connessione con il capitale di investimento a rischio? In teoria potrebbe perché il personale di Borsa italiana è di altissimo livello. Ma in pratica, in tutta l’Eurozona circola (relativamente) poco capitale di rischio perché questo, semplificando, parla per lo più Inglese con accento britannico o statunitense. Poi, qualora fosse sviluppato un servizio di connessione efficiente tra idee innovative, start up che tentano di aziendalizzarle e capitale di rischio, è probabile che Parigi indurrebbe Euronext a collocare lì tale servizio – un vero e proprio tesoro anche di “capitale cognitivo” – e non certo a lasciarlo a Milano.

Quindi per aumentare, anzi strutturare, la capacità residente in Italia di fornire capitale alle idee innovative pre-industriali ed alle start up che tentano di industrializzarle, chi scrive ritiene sia necessario pensare a due nuove piattaforme di mercato. Certamente una che raccolga i dati delle idee innovative e delle start up in fase iniziale con protocolli di presentazione – caricati di garanzia di riservatezza – al capitale globale. Ma solo questa potrebbe comportare l’acquisto globale di buone idee togliendole allo sviluppo italiano. Pertanto tale funzione dovrebbe essere organizzata come pre-quotazione entro una nuova Borsa tecnologica, diversa e in concorrenza con Euronext e simile al Nasdaq statunitense: una Borsa dedicata alla quotazione e scambi azionari di aziende tecnologiche. Ma ci vogliono dei partner di capitale non solo per crearla, ma anche con interessi a veicolare lì loro aziende innovative a caccia di finanziamenti. Un’ipotesi non ancora controllata per realismo suggerisce di sondare l’idea con capitali italiani (non pubblici), capitali israeliani, Borsa di Zurigo, capitali austriaci, sloveni, croati, ecc., e con il Nasdaq come partner per la piattaforma tecnica di scambio. In tale formato un nome potrebbe essere “Metse” (Middle European Technological Stock Exchange). Cominciamo a pensarci seriamente.

(c) 2023 Carlo Pelanda
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