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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2022-5-22La Verità

2022-5-22

22/5/2022

Segnali di de-escalation pur ancora armata

Molti analisti derivano dalle dichiarazioni bellicose tra le parti in gioco nel conflitto cinetico locale in Ucraina uno scenario di guerra prolungata. Ma altri, tra cui chi scrive, considerano ovvie tali comunicazioni pubbliche “muro contro muro” in fase di conflitto caldo perché servono a compattare i fronti interni e a mostrare forza al nemico e non le ritengono particolarmente indicative per gli scenari prospettici: osservano invece i fatti reali, anche minimi, che segnalano le vere posture. Da questo punto di vista si trovano segnali crescenti che né il complesso delle democrazie guidato da Washington né la Federazione russa vogliano un’estensione dell’orizzonte bellico e una guerra totale economica. L’alleanza delle democrazie dichiara che sarà l’Ucraina a decidere i termini del congelamento del conflitto. Ma ciò è solo parzialmente vero: da un lato, Kiev sarà rispettata ed inclusa nelle decisioni perché la sua difesa è un fattore di credibilità dell’intero complesso democratico nel globo, ma dall’altro l’Ucraina è totalmente dipendente dall’aiuto esterno e dovrà fare quello che l’Alleanza le dirà di fare.

Quando Washington le dirà che è arrivato il momento del congelamento del conflitto? Mosca lo sta già segnalando di fatto avendo ridotto il raggio della sua “condizione di vittoria” all’area territoriale dove può ottenere la superiorità via concentrazione delle forze. Poiché della Russia non ci si può fidare, l’Alleanza deve mettere gli ucraini in condizione di poter fermare i russi entro quel perimetro con il metodo del “muro di scudi”, ma calibrando l’azione con il requisito che ambedue i contendenti non possano sfondare il fronte. Questo è il motivo per cui Joe Biden si è rifiutato recentemente di fornire a Kiev missili convenzionali che potrebbero colpire in profondità il territorio russo e in precedenza ha compiuto molteplici atti di limitazione dell’ingaggio Nato nel conflitto per evitare frizioni con Mosca. Che ha reagito stando attenta a non provocare, nei fatti, la Nato stessa. Poiché russi e americani si consultano quasi quotidianamente, è probabile che questo confinamento del conflitto sia stato concordato. Ma resta da definire quanto territorio sarà preso dai russi e dagli ucraini. Su questo le parti non convergono e quindi la decisione è lasciata al campo e riguarda la zona sud-orientale dell’Ucraina, probabilmente entro il periodo estivo. Agli ucraini verranno dati mezzi per salvaguardare Odessa, recuperare alcune aree a nord e fermare i russi più o meno dove sono ora. Se ciò funzionerà, in autunno i russi potrebbero avere abbastanza e gli ucraini anche, ambedue senza più le risorse per andare oltre. Il congelamento verrà deciso da questa situazione militare, fino ad allora irrilevanti i tentativi diplomatici, se non quelli di “cornice” dedicati a perimetrare l’area di frizione senza incidere sulla frizione stessa. Poi, pur non potendo escludere che la situazione vada fuori controllo, dovrebbero partire veri negoziati dove quelli principali saranno tra alleanza euroamericana e Russia con oggetto le sanzioni economiche.

Il punto: potrà iniziare una “decostruzione” delle sanzioni? La Russia lo pretende per sedersi ad un tavolo e, in caso contrario, manterrà il congelamento del conflitto cinetico sotto la tensione di riaprirlo. Ciò non è conveniente per l’Ucraina perché il rischio politico prolungato impedirebbe investimenti privati, considerando che i costi di ricostruzione e riavvio dell’economia locale eccedono le risorse di denaro pubblico stanziabili da America ed Ue. Ma per la Russia non è conveniente rischiare l’insolvenza del suo debito pubblico e l’esproprio delle centinaia di miliardi della sua Banca centrale sequestrati temporaneamente, nonché l’estensione delle sanzioni ai clienti della Russia stessa, linguaggio dissuasivo che comincia a trapelare e viene annotato da Cina, India ed altri con estrema preoccupazione, tra cui il rilevante Kazakistan. Mentre Mosca può ricattare solo tenendo alta la tensione, Washington, Bruxelles e Tokyo la possono comprimere lasciando ed eventualmente estendendo le sanzioni. Segnali in materia? Il fatto che Janet Yellen, ministro del tesoro statunitense, abbia definito l’espropriazione di denaro pubblico russo come illegale colpisce. In realtà sarebbe legale trattenerlo a garanzia del pagamento dei danni di guerra all’Ucraina. Ciò è ancora rivedibile, ma la posizione di Yellen apre una porta alla decostruzione condizionata delle sanzioni: cioè la Russia dà una cosa, per esempio aperture selettive alla partenza di navi da Odessa, e in cambio recupera un tot proporzionale di soldi, e via così. Ma questo iter, se partisse, sarebbe sabotabile da elementi russi che non vogliono la formalizzazione della sconfitta o da altri, sull’altro fronte, che vogliono tenere le tensioni? Certamente, ma forse proprio per questo i generali americani e russi stanno intensificando i loro colloqui. Se si mettessero d’accordo, questo problema sarebbe mitigato. Probabilità? Difficili ora da definire, ma va considerato che il regime di Vladimir Putin è in difficoltà di coesione pur mantenendo un consenso prevalente, ma vulnerabile a crisi economiche: segnali multipli da Mosca fanno intendere che quel sistema di potere voglia la fine della guerra economica, almeno nei suoi picchi.  In conclusione, il complesso democratico è certamente vincente e non ha interesse ad affondare del tutto la Russia, pur mettendole la museruola, né a pregiudicare la possibilità futura, pur oggi remota, che Mosca si sottragga al ruolo di vassallo della Cina, cosa che i vertici militari dell’Impero russo vedono come male peggiore.

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