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Carlo Pelanda: 2022-2-23La Verità

2022-2-23

23/2/2022

Le sanzioni economiche vanno caricate con azioni più incisive

Vladimir Putin, per il momento, ha scelto un’opzione di confronto minimo con America ed Ue occupando militarmente quello che aveva già preso di fatto, ma non osando incorporare il Donbass nella Federazione russa, “solo” riconoscendone l’indipendenza. Ma la Russia sta tenendo mobilitato un notevole potenziale militare, particolarmente strutturato in Bielorussa sia per eventualmente invadere da Nord l’Ucraina stessa, che resta l’obiettivo strategico, sia per difendere l’enclave russa di Kaliningrad, nei pressi, ed accerchiare i Paesi baltici (dove esistono robuste minoranze russofone) nonché stringere il vassallaggio sulla Bielorussia stessa, vulnerabile a mobilitazioni interne pro-democrazia. In sintesi, la minaccia russa resta alta. L’Ue ha risposto con sanzioni graduali selettive per segnalare a Mosca che sarebbero rese sistemiche e inasprite se Putin continuasse l’offensiva: sanzioni individuali, isolamento economico del Donbass, limitazioni finanziarie per il capitale russo, sospensione da parte di Berlino della procedura di certificazione del gasdotto North Stream 2. Il Regno Unito ha preso decisioni più pesanti: lista nera per cinque banche russe, precursore di un sequestro dei loro beni, oltre che rinforzi militari all’Ucraina. Anche l’America ha preso posizioni più dure dell’Ue, ma senza scatenare tutto l’arsenale di misure possibili lasciando spazio alla gradualità.

Questa reazione potrà dissuadere Putin?  Chi scrive ha annotato la perplessità del capo dei sevizi segreti russi – che gestisce il vero tavolo di negoziato con l’America, gli europei esclusi e non del tutto informati - e di altri nella nomenklatura quando Putin, nell’ambito del suo Consiglio di sicurezza nazionale, ha chiesto se fosse il caso o no di riconoscere le repubbliche filorusse del Donbass, come richiesto dalla Duma. Questo è un segnale di possibile frattura nel circolo putiniano, timoroso di sanzioni personali che azzererebbero le ricchezze personali cumulate all’estero, o una finta per mostrare al mondo che in Russia c’è consultazione e diversità di opinioni? Difficile valutarlo. Ma chi scrive da tempo riceve molti pareri dall’interno della Russia: sta aumentando il dissenso. Putin ne sembra consapevole e ciò spiegherebbe i suoi sforzi logorroici per diffondere una narrativa dove la Russia è aggredita invece che aggressore, puntando a manipolare il grosso della popolazione. Dati molto preliminari fanno ipotizzare che ci riesca, ma non in numeri sufficienti per il consenso in caso di confronto duro con il resto del mondo con conseguenze impoverenti. Tale ipotesi giustifica il ricorso a sanzioni economiche per costringere il regime a desistere? Da un lato, è una risposta abbastanza forte e allo stesso tempo razionale perché lascia spazio, pur via dissuasione, a soluzioni diplomatiche. Dall’altro, manca qualcosa di puntuto per spaventare Putin.

Ci vorrebbe più capacità dissuasiva. Da circa un mese c’è frenesia nei think tank per capire il miglior uso di sanzioni economiche a fini condizionanti. In queste consultazioni chi scrive – che ha indicato ai colleghi di tenere un approccio tecnico di “geopolitica economica” sistemica e non solo localizzata - ha sottolineato i seguenti punti: (a) una sanzione economica veramente efficace contro la Russia deve essere estesa a tutti i clienti della Russia stessa, per esempio alla Cina se compra gas russo, ai paesi arabi se ne comprano il grano, ecc.: significa prendere un rischio grave mondializzando un conflitto solo regionale e rendere Mosca talmente disperata da ricorrere all’unica contromisura reale che ha, cioè la minaccia nucleare (come ha già ventilato); (b) la miglior risposta alla Russia è quella di compattare tutto il complesso democratico, rendendolo talmente potente e grande da poter condizionare l’economia russa non con sanzioni, ma generando sia standard economici impervi per la Russia stessa (la Cina teme questo scenario) sia schemi di fornitura molto ampi che permettano di azzerare la dipendenza europea da Mosca, tema fondamentale per l’Italia in materia di gas (per il grano è sufficiente l’Ucraina); (c) le sanzioni economiche non possono sostituire la dissuasione militare e pertanto va rafforzata la capacità bellica dell’Ucraina dandole istruzione e armi appropriate; (d) ovviamente, se si chiede all’Ucraina  di combattere veramente, bisogna garantirle sostegni economici proporzionali e darle la giusta dignità, utile per la sua compattezza nazionale, associandola all’Ue e alla Nato non formalmente, ma sostanzialmente, come sta accadendo, ma ancora in modi insufficienti. In sintesi, può andar bene la gradualità delle sanzioni, ma solo se combinata ad una deterrenza militare sia sistemica sia di punto prodotta da un’alleanza tra democrazie più grande e potente di Stati aggressivi come Cina, Russia, Iran, ecc.

L’Italia è in difficoltà dopo aver fatto dire al suo ministro degli Esteri la fesseria “sanzioni sostenibili”, dando un segnale di inaffidabilità e divergenza all’interno dell’alleanza, in particolare la paura di restare a secco del gas russo e di perdere circa 10 miliardi di export (la Germania 25). Sta tentando di metterci una pezza con dichiarazioni convergenti e forti. Ma parecchi segnali indicano che Roma sia stata degradata nell’ambito Ue e Nato, pur essendo stata rassicurata che tutto il G7 l’aiuterà per le forniture.  Pertanto Roma deve prendere un orientamento più deciso sul piano concreto della convergenza G7, per esempio rendendo disponibili più mezzi militari, premendo l’Ue per un trattato di libero scambio con Londra e con l’America.

(c) 2022 Carlo Pelanda
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