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Carlo Pelanda: 2020-8-2La Verità

2020-8-2

2/8/2020

Hong Kong 1938

Nel settembre 1938 Francia e Regno Unito siglarono con la Germania a conduzione nazista, a Monaco, un trattato che concedeva a Berlino di occupare parte della Cecoslovacchia (Sudeti) allo scopo di evitare una nuova guerra con essa. L’errore fu non contrastare subito un regime autoritario ed aggressivo che, eccitato dalla debolezza delle altre potenze, scatenò nel 1939 una devastante guerra di conquista. Ora le democrazie non devono ripetere lo stesso sbaglio nei confronti della Cina nazista mostrando a Pechino capacità e volontà di contenimento/condizionamento per dissuaderla a ricorrere ad una aggressività crescente che poi porterebbe ad una guerra nel Pacifico, con rischio di estensione al globo.  Nel violare il trattato con Londra del 1997 che tornava a Pechino il controllo di Hong Kong, ma preservandone il sistema democratico e l’autonomia per gli affari interni fino al 2047, Xi Jinping ha compiuto un atto aggressivo “oltre la linea”. Tale assertività porta le democrazie a valutare una posizione di contrasto.

Al momento la loro risposta è differenziata: forte quella statunitense, inesistente quella europea, complicata dal silenzio complice del Vaticano. Pertanto è al momento più probabile che si ripeta l’errore di Monaco per mancanza di compattezza e scala, nonché di forza morale, del fronte democratico. Sarebbe grave perché la strategia cinese non è tanto o solo quella di reprimere la ribellione pro-democratica di HK, ma principalmente quella di saggiare la reattività delle democrazie e dissuadere con esibizioni di forza le nazioni viciniori. Per esempio, l’aggressione ai militari indiani di circa un mese fa fu indirizzata alla popolazione e governo per spaventarli. L’azione su HK è principalmente indirizzata contro Taiwan, che ha eletto un presidente con programma di indipendenza permanente dalla Cina continentale a guida comunista: provate a divergere dal destino di assorbimento e sarà guerra. Per farla, tuttavia, Pechino deve capire fino a dove si spingerà l’America, e la coalizione regionale anticinese che sta costruendo, per difenderla. Infatti Washington ha subito reagito rinforzando la presenza aeronavale nell’area e inasprendo le sanzioni, per esempio il divieto ad entrare negli Usa per i 120 milioni di membri del Partito comunista cinese. Ma l’ufficio strategico cinese ha potuto annotare, in particolare, che l’Ue a conduzione tedesca non appoggerebbe la coalizione anticinese, che il tema della libertà e democrazia è ignorato dalla Chiesa cattolica e non è sufficientemente forte nelle attenzioni delle popolazioni delle nazioni democratiche, e nei media che le informano, da sostenere azioni forti contro la Cina. In sintesi, l’azione su HK è un test sui comportamenti delle democrazie. In generale, tali test stanno fornendo a Pechino dati piuttosto precisi, e confortanti, che potrà usare di più la forza per consolidare il proprio potere nel Pacifico e nell’Eurasia entro i limiti della non provocazione diretta all’America.

Ma perché Xi Jinping sta facendo tali test? Lo sviluppo cinese è arrivato ad un picco anni fa, la crisi bancaria è profonda e il debito pubblico, pesantemente truccato nelle statistiche, è stratosferico: d’ora in poi il Partito comunista non potrà soddisfare la speranza di ricchezza di massa che finora ne ha retto il consenso, infatti decrescente e gestito sempre più con mezzi di sorveglianza (telefonini) e repressione (rating di conformità) individualizzati. L’aggressività della Cina, poi, ha avuto come risultato la reazione di tutte le nazioni viciniori, con minime eccezioni, e sta per essere circondata da un cordone ostile, del tutto se la Russia decidesse di rompere l’alleanza, motivo di recenti segnali dissuasivi cinesi contro Mosca nell’area (sub)siberiana. Xi Jinping ha preso poteri dittatoriali nel 2017 proprio per gestire con verticalità una possibile crisi interna ed esterna. Si sta preparando a proiettare la forza all’esterno sia per compensare i dissensi interni via nazionalismo sia per dare lavoro. Se il mondo delle democrazie non reagirà sul fronte di HK, allora ciò ecciterà Pechino come successe con Adolf Hitler, aumentandone l’aggressività e i rischi di guerra. Per evitarla, gli europei dovrebbero unirsi all’America (Giappone, India, Australia, ecc.) per segnalare che il complesso democratico globale, che è più grande e potente della Cina, non lascerà spazio alla Cina nazionalcomunista. Il tempo per farlo è dato dal rinvio delle elezioni di Hong Kong. Il modo è una pressione vigilante di tutte le democrazie per far ammettere i candidati pro-democrazia ed evitarne l’assassinio, pena sanzioni. Irrealistico? Ora lo è. Ma basta poco per l’inversione di scenario: più informazione su cosa sia realmente il regime nazista cinese e più elettori nelle democrazie capiranno e accetteranno l’ingaggio nella battaglia di Hong Kong – Monaco. E’ una speranza, non una certezza. Lettori, a voi la parola considerando che su questo tema globale ed europeo, dove la Germania è filocinese per ragioni mercantili, l’Italia può fare la differenza. Poi non ho perso del tutto la fiducia nella Chiesa: la sua intelligence raffinata ha certamente riferito al papa gli innumerevoli casi di sostituzione forzata del crocifisso con la foto di Xi e di tortura e sterminio contro i (tanti) cristiani cinesi, segnale che per difenderli è sbagliato tentare un compromesso con la dittatura e più efficace un ritorno ad essere la forza morale dell’impero delle libertà, le democrazie.

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