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Carlo Pelanda: 2018-12-16La Verità

2018-12-16

16/12/2018

Ecorealismo contro ecosemplicismo ed econegazionismo

Il governo – in occasione del summit globale Cop 24 in Polonia sul cambiamento climatico - ha candidato l’Italia, in competizione con il Regno Unito, per ospitare nel 2020 la conferenza internazionale Cop 26. Bene, ma l’iniziativa italiana dovrebbe prendere atto che la politica finora perseguita di ridurre del 45% entro il 2030 le “emissioni serra” per contenere entro i 2 gradi l’innalzamento della temperatura media del pianeta entro un secolo è incompleta e ad alto rischio di inefficacia oltre che di infattibilità politica-economica, per stessa ammissione dei proponenti. In particolare, l’illusione che il problema possa essere risolto solo dalla riduzione dei gas serra, devia le attenzioni e ritarda gli investimenti su nuove mega e micro tecnologie che sono necessarie per mantenere la viabilità e operatività dei sistemi umani in condizioni di (possibile) cambiamento climatico con impatto inabilitante in circa il 60% della superficie antropizzata del pianeta se gli attuali habitat non venissero adattati. Il punto: certamente i gas serra stanno producendo un riscaldamento che modifica il clima al quale gli insediamenti umani si sono adattati nei recenti millenni, ma non ci sono ancora conoscenze e dati sufficienti per prevedere se il cambiamento comporterà surriscaldamento o chissà cosa altro, anche considerando il ciclo delle oscillazioni dell’asse terrestre in relazione a quello termodinamico-irradiante del sole. Inoltre, l’obiettivo di un aumento di “solo” 2 gradi nella media terrestre tra un secolo – forse meno – è in realtà un non-obiettivo perché indurrebbe comunque un ecomutamento potenzialmente catastrofico. Pertanto dobbiamo ri-valutare seriamente l’ecopolitica in atto. E dovremmo farlo con un nuovo pensiero ecorealista, basato su procedure di rigoroso metodo scientifico e di visione sistemica, contrapposto sia all’ambientalismo ideologico-semplicista sia all’econegazionismo.

Quale strumento è necessario per istruire un’ecopolitica realistica? HO.M.E, “HOlistic Model of Earth” (Modello olistico della Terra). Manca infatti una rappresentazione elettronica (3D e 4D) del pianeta, ad aggiornamento continuo, che integri dati climatici, geofisici, territoriali, socioeconomici, epidemiologici ed esospaziali per valutazioni di situazioni ed inferenze ad elevati realismo e rappresentazione sistemica di rischio-vulnerabilità. Tale modello, poi, sarebbe base necessaria per le simulazioni di come ridurre la vulnerabilità stessa degli habitat e attività umane, sui piani sia macro sia micro. Per esempio, se confermata la linea del riscaldamento e dell’aumento del livello del mare, bisogna considerare che circa il 70% della popolazione mondiale vive in aree costiere e fluviali in combinazione con un aumento delle precipitazioni “a bomba d’acqua” per il maggior vapore circolante in atmosfera. L’aumento di “solo” il 2% delle temperature e lo scioglimento dei ghiacci porterebbe molte di queste aree all’impraticabilità. Cosa dovremmo fare, in caso? Confidare nella riduzione dei gas serra oppure avviare programmi di per proteggere l’ambiente costruito o spostare insediamenti? O cosa? Appunto, pensare che la sola riduzione delle “emissioni serra” risolva il problema tende a ritardare lo sviluppo di tecnologie e soluzioni che riducano la vulnerabilità al mutamento e che hanno bisogno di decenni per essere sviluppate. E se poi il riscaldamento sciogliesse l’Artico e il maggior afflusso di acqua dolce modificasse la Corrente del Golfo, portando in glaciazione America ed Europa settentrionali, cosa cavolo faremmo? Quanto, poi, del riscaldamento stesso dipende da gas serra e quanto dal ciclo solare e da quello planetario motu proprio? E cosa faremo di fronte al secondo mutamento? Ora gli econegazionisti dicono che il problema non c’è e gli ecosemplicisti affermano che se tagliamo i gas serra il problema sparirà, forse. Evidentemente tali posizioni non sono adeguate alla sicurezza di un pianeta sempre più abitato, in un’economia globale interconnessa. Insistiamo, quindi, solo sulla riduzione dei gas serra, con un approccio sottostante di ambientalismo antindustriale e con l’illusione che il pianeta cambi solo per il “maledetto” intervento umano o passiamo all’ecorealismo che implica una riduzione della vulnerabilità dei sistemi umani a qualsiasi variazione climatica via “terraformazione” adattiva? L’ecovia giusta è la seconda, per altro senza abbandonare la prima anche per motivi di qualità dell’aria. Ma bisogna conoscere meglio il problema, con rappresentazioni sistemiche ad aggiornamento continuo, per poter concepire e simulare le soluzioni: ci vuole HO.M.E. Già lo proposi nel 1989 in un gruppo di lavoro con la missione di preparare per il Segretario Generale dell’Onu una valutazione sui rischi ambientali futuri globali e i modi per mitigarli, ma allora la tecnica per costruirlo non c’era.  Ora c’è, ma serve una svolta di cultura ecorealistica.

(c) 2018 Carlo Pelanda
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