Versione corretta
Martin Feldstein, con cui il rubricante è in sintonia analitica, ritiene urgente per la crescita europea una svalutazione di almeno il 15% dell’euro contro il dollaro. Avverte Draghi, che da settimane comunica il desiderio di una una svalutazione per reflazionare l’Eurozona via inflazione importata, che tale obiettivo non è perseguibile con operazioni di allentamento monetario in quanto il mercato scommetterebbe comunque su un euro disinflazionato, comprandolo più che vendendolo. Pertanto raccomanda alla Bce una mossa brutale: comprare dollari e vendere euro, massicciamente. La rubrica è d’accordo, ma rileva un conflitto di interesse che probabilmente sta ritardando tale mossa. In questi mesi, comprandone la deflazione, il mercato globale sta facendo affluire tonnellate di capitali nell’Eurozona migliorandone i corsi borsistici ed i costi di rifinanziamento dei debiti. Tale flusso favorevole ha due limiti. Il primo è dato dal riallineamento dei valori (bond, azioni, ecc.) di beni sottovalutati. Il secondo è determinato dall’attesa di inflazione. Se questa è minima, il mercato tenderà a restare nell’euro. Se Draghi lo svalutasse violentemente e aumentasse in prospettiva l’inflazione importata, allora il mercato sposterebbe i capitali altrove, facendo venir meno i benefici, soprattutto, per gli euro-meridionali, dell’afflusso di capitali. L’analisi costi/benefici fatta dalla rubrica, tuttavia, mostra che converrebbe svalutare molto e presto perché l’attesa di inflazione troppo bassa comporta un rischio di spirale depressiva. Ma una svalutazione massiva deve aspettare le elezioni europee del 25 maggio per non eccitare il dissenso antieuro in Germania. Poniamo che a giugno la Bce sia pronta a comunicare al mercato una postura svalutativa. Qui ci sarebbe un altro problema: il mercato potrebbe non crederci troppo confidando sulla paranoica resistenza tedesca contro rischi di inflazione, generando una situazione strana in cui i flussi restano in euro, ma con investimenti più corti. Tale esito non migliorerebbe le cose e ne peggiorerebbe altre. Infatti la rubrica ritiene che la strana situazione dove Draghi annuncia svalutazioni, ma non le attua, in un contesto dove altri della Bce dicono che la reflazione ci sarà a fine anno, forse, dipenda dalla difficoltà di Draghi nel far accettare svalutazioni forti alla Germania. Ma l’Eurozona ha bisogno di una reflazione massiva, appunto, ora. Chiedere a Draghi di aggirare i veti tedeschi? Se lo facesse in modo conflittuale riceverebbe una risposta simmetrica, con possibile imputazione presso la Corte costituzionale tedesca aggiunta a quelle già pendenti. In sintesi, la Bce non è indipendente e non possiamo chiedere a Draghi di fare azioni che svelino più apertamente tale situazione delegittimante. Ma c’è una possibilità: chiamare un accordo monetario tra dollaro ed euro per arrivare ad un regime di cambio con oscillazioni limitate e far dipendere la svalutazione del secondo da questo atto. Ciò dovrebbe portare ad uno spazio di oscillazione tra 1,20 e 1,30 dollari per un euro, accettabile per la reflazione e compatibile con il ri-allineamento del potere d’acquisto delle due valute. L’America non avrebbe interesse ad accettare? Non è detto: il trattato per la formazione di un mercato euroamericano, TTIP, in fase negoziale implica una progressiva convergenza tra euro e dollaro e prima o poi i governi dovranno mettere sul tavolo questo tema, comunque. L’alternativa è quella di chiedere a Mosca la cortesia di mandare un po’ di carri in Ucraina per tirare giù l’euro di brutto, ma la rubrica spera che questa resti solo una battuta.