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Carlo Pelanda: 2012-4-24Il Foglio

2012-4-24

24/4/2012

Audi sarà un ottimo partner per Ducati se capirà che le sue moto sono jazz

Molti hanno chiesto alla rubrica di scenarizzare il futuro della Ducati dopo l’acquisizione da parte di Audi, con due tipi di preoccupazioni: (a) possibile trasferimento delle produzioni; (b) rischio che sotto la gestione tedesca il feeling Ducati venga snaturato. Quando Investindustrial, fondo di private equity, acquisì la Ducati nel 2006, questa vendeva 35.300 unità. Nel 2011 ne ha vendute 42.200, per l’80% fuori dall’Italia, con buona marginalità e quota dell’11% del mercato mondiale nel segmento di pregio. Evidentemente l’investitore ed il management hanno fatto un ottimo lavoro, qualificando il marchio, internazionalizzando l’azienda e dandogli efficienza. Ma a questo punto della crescita ci vogliono molto capitale ed un partner industriale super per fare il passo successivo, cioè la conquista della leadership globale di segmento. La quotazione in Borsa, vista da alcuni come alternativa garantista, sarebbe stata un’opzione, ed il fondo l’avrà certamente studiata, ma probabilmente non ha presentato vantaggi superiori né soddisfatto il requisito di trovare un partner che agisse come moltiplicatore di crescita. Audi, via Ducati, può entrare nel mercato motoclistico con un marchio di eccellenza abbinabile al suo e quindi avere una leva competitiva in più contro i concorrenti diretti, BMW in particolare, nei segmenti alti. Per questo ha pagato un buon prezzo (un miliardo compreso l’assorbimento del debito) ed investirà. Ma vorrà tenere italiana la produzione? Probabile, perché le sarà conveniente esaltare l’italianità del marchio che è chiave nel segmento lusso/motori globale. Poi non ha impianti motociclistici e quindi sarà incline a rinforzare quelli italiani, pur dovendo farne altri nel mondo per sostenere la crescita internazionale. In sintesi, Audi sembra il partner perfetto per Ducati. Più incerta è la scenarizzazione relativa al mantenimento del peculiare feeling Ducati nelle moto next, se influenzate da criteri tedeschi. Molti modelli Ducati danno una sensazione unica: non si sa bene che moto esattamente siano e quindi sono “jazz”, imprevedibili, per esempio il Multistrada e la Hypermotard, mentre tedeschi e giapponesi fanno moto prevedibili, pur ottime. E quando tentano di renderle meno prevedibili, massimizzano troppo una caratteristica, per esempio l’accelerazione nella V-Max, ma al costo di subottimalità nel resto. Ducati, invece, riesce a massimizzare più cose nella stessa moto, anche rendendo ciò che è sub-ottimale, per esempio vibrazioni, brontolio dello scarico in rilascio, erogazione brusca della potenza a metà di un tornante, con tendenza all’impennata diagonale, un pregio e non un difetto. Insomma, è jazz con punte di rock da estasi fisiologica. Se i tedeschi armonizzassero troppo la configurazione della moto, ci sarebbe il rischio di banalizzazione. Ma la rubrica ritiene sufficiente che i centauri di manico comunichino, per i modelli a loro dedicati, il giusto messaggio: l’ingegneria Audi prepari un bel telaio superleggero in alluminio ed un’evoluzione hypertech dei motori, ma lasci la decisione di come configurare la moto a quella italiana. Nell’occasione, il rubricante amerebbe una replica, modernizzata, della splendida Ducati Scrambler 450, con la quale vinse negli anni ‘70 parecchie gare clandestine in strade collinari. Con motore di 600cc, pur sempre mono e desmo, con peso di 120 Kg invece di 140, freni Brembo e gomme Pirelli, vincerebbe ancora.

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