La crisi di Israele è solo esterna, non interna
I pochi amici italiani di Israele si sono generosamente interrogati sulla profondità della crisi israeliana. Certamente per Israele è un momento difficile. Ma non vi è una crisi interna di dimensioni tali da far temere una incapacità di gestire i pericoli per la sopravvivenza di questa rimarchevole nazione oppure suoi atti irrazionali. La crisi israeliana è solo esterna.
Il dato più importante riguarda il successo del missile iraniano, di concezione cinese, lanciato dagli Hezbollah contro una nave israeliana al largo di Beirut. Non è stato un fallimento tecnologico, ma un errore umano: non erano accesi i sistemi di contromisura. Se lo fossero stati il giocattolino cino-iraniano sarebbe stato annichilito. Tutte le analisi che avevano temuto una crisi di superiorità tecnologica a partire da questo fatto possono rientrare. La condotta un po’ indecisa dell’azione di bonifica degli Hezbollah ha motivazioni più politiche che di incapacità tecnica. Non era interesse di Israele mostrare uno strapotere né tantomeno occupare un territorio. Entro questo quadro poi ci sono stati errori tipici in casi in cui si impiegano riservisti. Ma il nucleo professionale della forza armata israeliana ha eliminato il nemico secondo i piani, al cronometro. Infatti Hezbollah sta facendo uno sforzo enorme per riorganizzarsi e non sarà mai più come prima. Il governo Olmert è instabile? Certo, come ogni governo israeliano. Ma Israele, per le cose che contano, è governata da un direttorio stabilissimo. Per questo può permettersi il disordine di una democrazia pur nazione in guerra. Non è qui il problema, come non lo è la sua potenza militare. La crisi è nella mancanza di consenso internazionale necessario sia per difendersi sia per trovare qualche alleato che aiuti la pace. L’America garantisce la sicurezza di Israele, ma non la chiusura del conflitto perché ha la priorità di tenersi buoni gli islamici pro-occidentali a cui è utile lo status quo. L’Europa subisce il ricatto islamico e non la aiuterà manco a difendersi. Qui c’è la disperazione di Israele: sola contro un mondo islamico che teorizza la sua distruzione e uno occidentale che in grandi numeri la imputa di essere il male o se ne infischia. Tale situazione è tragica, ma anche così tragicomica da generare witz (scherzi). Per esempio, sentito a Gerusalemme: “lasciamo che i nazisti islamici uccidano un milione di ebrei per commuovere finalmente il mondo e così salvare i quattro che resteranno, ma potremo fidarci? No. Sventagliata con missili nucleari? No, che spreco. E allora? Avanti così, va bene”. Sufficientemente forti per restare freddi e ironici.