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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 1999-8-1Il Foglio

1999-8-1

1/8/1999

Il progetto di stazione spaziale è ancora troppo terricolo, ma comunque necessario

Dal novembre 1998 é in corso l'assemblaggio dei moduli che costituiranno la Stazione spaziale internazionale. Sarà completata, in base ai piani correnti, tra cinque anni. Ma già dal marzo del 2000 sarà abitata permanentemente, a cominciare da un primo equipaggio di tre uomini. Quindi é ormai una realtà. Che va anche valutata in riferimento ad un criterio di economia dello spazio o "esoeconomia".

Il costo stimato per rendere operativa la base orbitante é di 6O miliardi di dollari (probabile che si arrivi a 100) da suddividersi tra16 nazioni. E' un investimento notevole di denaro pubblico. Che remunerazione darà? Un dirigente dell'agenzia spaziale nipponica (Nasda) ha preso come un insulto il solo porre questa domanda. Il modulo giapponese é stato chiamato "Kibo", cioé "speranza". Il nome é uscito da un concorso pubblico a cui hanno partecipato 20.227 cittadini giapponesi. "Speranza" é il solo profitto cercata. Di cosa? Che tante nazioni cooperino per il progresso scientifico dell'umanità. Entro nel sito web della Nasa per vedere se i più pratici americani hanno in programma qualche bel progetto industriale. L'agenda della conferenza sull'utilizzo della stazione spaziale, che si terrà ad Albuquerque ai primi del 2000, prevede tante meraviglie scientifiche, ma nessun aggancio diretto al business. Va bene, dico tra me, anche chi ha creato Darpanet tanti anni fa - il Pentagono - non immaginava che poi sarebbe diventata Internet con tutto il "netbusiness" che ci gira sopra. Ma resto perplesso. Telefono ad un collega russo che so impegnato nel progetto: "i soldi americani per il progetto di stazione, al quale contribuiamo con i moduli Zarya e Zvezda più innumerevoli missioni Soyuz, stanno salvando tutto il nostro sistema spaziale che, senza un soldo, era al disastro". Così detta la remunerazione é più comprensibile. Il progetto della stazione - ed il suo significato morale - é una buona scusa per finanziare le agenzie spaziali nazionali (tutte) che, senza più guerra fredda, potrebbero rischiare di avere i bilanci ridotti da politici che premono per altre priorità. Tuttavia il mantenimento di grandi programmi spaziali ha senso - e può durare - solo se si trova un aggancio tra loro e la nascita di nuove attività economiche effettivamente "spaziali".

Qualcuno ci sta provando. Per esempio, sono allo studio (Bigelow) viaggi turistici nel cosmo. Potrebbero godere del supporto logistico della Stazione spaziale e quindi diventare più sicuri e meno costosi. Ma progetti del genere, pur interessanti per la nuova esotecnologia che mobilizzano, non sono in grado di creare un esomercato. Questo ha bisogno di attività residenti nello spazio. Quali? Di due tipi. Quelle che riguardano cose che sulla Terra non si possono fare. Per esempio, creazione di nuove forme di vita o comunque bioesperimenti troppo pericolosi per essere permessi nella nostra ecosfera. E quelle che riguardano il giro d'affari basato sul fatto che ci siano degli umani costretti ad abitare colonie cosmiche stabili. Ma la scala economicamente interessante per queste non é quella della stazione spaziale in costruzione. Lo sarebbe un insediamento permanente, intanto, sulla Luna (dove cé acqua). Ma per farci cosa? Cantieri orbitanti per la costruzione di navi stellari che non é possibile - per sicurezza e per costi gravitazionali - costruire a ridosso della Terra. Ma perché mai dovremmo costruire navi stellari? In effetti questo modo di ragionare preliminare sui requisiti di fondazione di un esomercato deve riconoscere che ci sarà bisogno ancora per molto tempo di una leva morale (cioé denari pubblci) allo scopo di trovare i motivi per andare, e restare, nello spazio. Quindi la strategia moralistica della "speranza" non é poi da irridere. Buffo é notare che l'esomercato debba nascere attraverso una leva keynesiana, cioé di spesa pubblica orientata da valori politici. La ragione dice così, ma l'istinto mi suggerisce che qualche mercante dello spazio inventerà qualcosa di più selvaggiamente liberista. Tuttavia, su tale argomento, lo scenario non può far altro che restare in attesa, segnalando solo un punto cruciale. Nel passato la colonizzazione occidentale del pianeta fu orientata da una combinazione di "attrattori forti": ricerca dell'oro, spinta diffusiva della croce e concorrenza geopolitica tra Stati. In questo ambiente espansivo, poi, i mercanti inventarono un nuovo mercato. C'é da chiedersi se attualmente ci siano attrattori altrettanto forti per stimolare la conquista del cosmo. Il generico spirito di progresso - ed il suo utilizzo per finanziare le esistenti agenzie spaziali in difficoltà - non basta. E la stazione spaziale é figlia di tale attrattore "debole", non segno che sta nascendo uno "forte". D'altra parte senza di essa non ci sarebbe alcuna porta per le stelle. E solo tale considerazione, al momento, sostiene l'attribuzione di un alto valore esoeconomico alla stazione spaziale in costruzione.

(c) 1999 Carlo Pelanda
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