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Carlo Pelanda: 2008-6-8La Voce di Romagna

2008-6-8

8/6/2008

O detassazione o recessione

L’inflazione energetica sta aumentando verso livelli destabilizzanti.

E’ sviante sostenere che il rialzo di petrolio e gas sia dovuto principalmente alla “speculazione”. Da un lato è vero che un numero crescente di soggetti finanziari scommette sul rialzo dei prezzi petroliferi. Ma è anche vero che poi qualcuno compra i barili di “petrolio finanziarizzato” (contratti futuri)  a prezzo maggiorato. Ciò vuol dire che il mercato ritiene che i prezzi nel futuro saranno al rialzo: America ed Europa importano meno petrolio che nel passato grazie alle tecnologie di efficienza energetica, ma le economie emergenti ne importeranno in aliquote crescenti. Pertanto il prezzo sale per motivi strutturali. Su questa base “oggettiva”, poi, ci sono dei fenomeni speculativi che amplificano i prezzi. Ma il loro effetto è minore in relazione alla spinta rialzista strutturale. Quindi la lotta alla speculazione è un bersaglio sbagliato, l’insistervi una sorta di caccia all’untore irrilevante contro il virus. Un'altra spiegazione vera solo in parte è che la caduta del cambio del dollaro causi il rialzo, per compensazione valutaria, del prezzo del petrolio. Certamente un dollaro più alto modererebbe i prezzi, ma non sostanzialmente. Il problema è proprio l’aumento della domanda in relazione all’offerta. Con una complicazione geopolitica: negli ultimi anni molti Paesi produttori, per lo più regimi autoritari, hanno rinazionalizzato l’industria petrolifera e fanno prezzi “politici” per massimizzare i profitti dei dittatori.  In sintesi, il problema ha le seguenti cause, in ordine di rilevanza: (a) domanda in tensione, fattore principale; (b) geopolitica; (c) ribasso del dollaro; (d) amplificazione finanziaria.

Soluzioni. Dall’analisi si ricava che sarà difficile riportare in basso il prezzo del petrolio (e del gas). Due strade. O si manda l’economia globale in recessione grave e ciò farà calare la domanda di petrolio ed il suo prezzo, oppure si cerca di adeguare il sistema economico a costi crescenti del petrolio in modo da neutralizzarli fino a che non andranno a regime nuove fonti di energia.  Questo è il punto cruciale.  Se i governi non riusciranno a disinflazionare il sistema bilanciando il contagio dell’inflazione energetica sui prezzi generali, allora la recessione sarà l’ultima, ma catastrofica, spiaggia. Ciò vale per il globo. Ma anche, e di più, per l’Europa e nel suo piccolo per l’Italia. La Bce ha alzato il costo del denaro, pur sapendo che tale misura non può calmierare direttamente i prezzi energetici, per dare un messaggio dissuasivo agli eurogovernanti: o prendete misure disinflazionistiche o noi, che per statuto abbiamo la missione di difendere il valore di acquisto della moneta e che vediamo nei dati un aumento dell’aspettativa di inflazione, manderemo il sistema in recessione per contenere “indirettamente” il rialzo dei prezzi. In questo caso la Bce ha avuto ragione. I governi, per lo più, la hanno attaccata, e restano indecisi intanto offrendo capri espiatori inesistenti agli elettori, quali gli speculatori pestilenziali,  perché terrorizzati dal dover disinflazionare con politiche difficili e cariche di dissenso potenziale: meno tasse, più concorrenza, energia nucleare, riduzione delle tasse - e relativo gettito fiscale - nel prezzo dei carburanti e pressione geopolitica sui produttori. Ma o fanno così o resterà la recessione come ultima disperata cura dell’inflazione. Va detto.

(c) 2008 Carlo Pelanda
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