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Carlo Pelanda: 2016-8-14Libero

2016-8-14

14/8/2016

Ci vuole ben altro

L’Italia è a crescita zero e le nuove proiezioni per il secondo semestre fanno temere che l’incremento del Pil nel 2016 sarà tra 0,6 e lo 0,8% e nel 2017 stagnante o peggio. E’ evidente che le misure prese dal governo per stimolare la crescita, pur alcune settoriali buone, non funzionano. Nei giorni scorsi Padoan è sbottato contro il “benaltrismo”, cioè contro chi dice che ci vorrebbe ben altro per rilanciare il sistema mentre dovremmo accontentarci perché le condizioni globali e i vincoli europei non permettono di più. Certamente la situazione esterna è difficile, ma proprio per questo ci vorrebbero ben altre leve per spingere la crescita interna. Una, in forma di investimenti infrastrutturali per 40 miliardi, è stata finalmente attivata, ma avrà effetti in tempi lunghi e da sola non basterà per invertire la stagnazione nel breve. Quali servirebbero? Io farei così. Annuncerei oggi per il gennaio 2017 un calo forte delle tasse sulle imprese, portandole al 20% totale, e taglierei spesa pubblica equivalente. Rischierei di deflazionare ancor di più il sistema in fase di stagnazione? Bilancerei tale rischio spingendo altre leve. Attiverei un fondo statale, più grande e svelto di quello esistente, sui 30 miliardi, che garantisca al 70 o 80% il finanziamento bancario di piccole imprese con insufficiente merito di credito per aiutarle a riorganizzarsi. Poi attiverei un “fondo statale di eventualità”, cioè attivabile parzialmente o totalmente in pochi minuti se necessario, di 40 miliardi, per interventi nel capitale delle banche stressate o di garanzia per la vendita delle tranche mezzanine e junior di pacchetti di crediti deteriorati bancari non coperti dalle Gacs, qualora le soluzioni “di smaltimento” in atto fossero incerte. Tale azione darebbe al mercato il segnale che l’Italia sostituisce l’assenza di un garante europeo con uno nazionale e riporterebbe la fiducia sul nostro sistema finanziario, così spingendo la leva di capitale necessaria e ora mancante per una ripresa diffusa. L’Ue vieta tale azione, ma aggirerei il divieto, appunto, con un fondo “eventuale”, quindi virtuale, e predisporrei l’azione legale, in caso di attivazione, presso la Corte europea affermando il primato dell’Articolo 47 della Costituzione – tutela del risparmio – sulle norme europee che lo contraddicono. Ovviamente dovrei garantire non con deficit sia il fondo per le microimprese sia quello di eventualità. Lo farei conferendo 70 miliardi di patrimonio pubblico (immobili, concessioni, partecipazioni) a un’emittente di obbligazioni con sottostante il rendimento di tale patrimonio e userei questi titoli come garanzia. Se non fosse necessario spenderla, cosa probabile, comunque la userei per pagare parte dei titoli di debito giunti a maturazione senza dovere chiedere nuovi soldi al mercato, così riducendo di un po’, ma fatto migliorativo per il rating, il debito stesso. In sintesi: forte garanzia per ripristinare la fiducia e far girare la leva di capitale, incentivo concreto alle imprese per investire di più e ossigeno alle più piccole che sono la gran massa del sistema economico italiano. Questo “ben altro” urgente, qui semplificato, è fattibile? Lo sarebbe per un governo disposto a tagliare molta più spesa inutile per dare spazio di bilancio alla detassazione, a rendere disponibili pezzi di patrimonio per garanzie d’eccezione o per “dedebitazione” e con la capacità di difendere gli interessi nazionali nel rapporto con l’Ue. Ma questo governo si basa su una maggioranza che non può tagliare troppo la spesa e le tasse per non pregiudicare il consenso nei ceti protetti, che non vuole mollare il controllo del patrimonio pubblico, in particolare le partecipazioni, che rafforzano il potere dei politici e che non può permettersi frizioni con la Ue perché, appunto, in difetto di ordine contabile e tasso di crescita, quindi ricattabile. Pertanto è comprensibile che Padoan non possa o voglia fare ben altro. Ma ciò non implica che il “ben altro” sia infattibile.

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