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Carlo Pelanda: 2015-8-30Libero

2015-8-30

30/8/2015

La priorità della Fed è evitare errori

Le Banche centrali sono al centro della scena come non mai. La prossima incertezza nel mercato globale, infatti, potrebbe essere innescata da loro errori. Per l’Italia il tema ha rilevanza vitale perché la sua ripresa resta poco stimolata da investimenti e consumi interni e quindi dipende tantissimo dall’export e da condizioni che lo favoriscano nel globo. Le cronache stanno dando massima attenzione alla riunione annuale dei banchieri centrali del mondo in corso a Jackson Hole, nel Wyoming, dove la domanda di tutti è che cosa farà la Federal Reserve, cioè la Banca centrale statunitense che è di fronte a un dilemma. Da un lato, le condizioni dell’economia statunitense richiederebbero un aumento del costo del denaro da anni fermato quasi a zero per stimolare la ripresa via iperliquidità. Pur l’inflazione ancora contenuta anche grazie al basso (temporaneamente) prezzo del petrolio, l’economia statunitense sta crescendo in modi sempre più robusti, cioè ricreando occupazione, facendo prevedere nel medio termine un ritorno dell’inflazione stessa oltre la soglia accettabile. Se la Fed non cominciasse ora a mettere dei limiti all’inflazione prospettica, questa potrebbe andare fuori controllo e le Borse in bolla, costringendo poi l’autorità monetaria ad alzare violentemente il costo del denaro e a mandare in recessione il sistema, con il rischio di indurre un crollo dei corsi azionari, per riequilibrarlo. Da un lato, il mercato statunitense può reggere più inflazione di altri perché la sua efficienza è un calmieratore sistemico dei prezzi. Dall’altro, anche l’America ha un limite nella presa di rischio sul lato dell’inflazione. Ed è un limite prudenziale di interesse mondiale e non solo statunitense: se esportasse inflazione nel resto del mondo, fatto di economie molto meno efficienti, ci sarebbe una catastrofe globale. In sintesi, la Fed deve prendere una postura di rialzo dei tassi. Inoltre lo ha già annunciato, definendo così un termine per valutare la sua credibilità. La credibilità è la risorsa più importante per una Banca centrale che per governare un sistema complesso deve indurre il mercato ad anticipare nei comportamenti le sue scelte allo scopo di renderne digeribile l’impatto. Ma se alza i tassi rischia di: (a) far crollare le Borse; (b) ridurre l’export statunitense per perdita della competitività valutaria, togliendo un fattore di ripresa all’economia interna che è l’unica locomotiva funzionante della domanda globale dopo il grippaggio di quella cinese ed il blocco di quella europea; (c) creare una catena di insolvenze per gli Stati indebitati in dollari e con monete che si svaluterebbero molto in caso di rialzo del dollaro stesso; (d) perfino più grave, far saltare migliaia di aziende nel mondo indebitate in dollari e con ricavi in valute in via di svalutazione. Se li alza, tuttavia, ci saranno benefici per alcuni: (e) le esportazioni in euro, yen, yuan, ecc., verranno facilitate aiutando l’Eurozona in stagnazione, la Cina in grave crisi, Giappone, Brasile ed altri in recessione; (f) se il dollaro si alza, il prezzo del petrolio, fissato in dollari, tende a restare basso. Tuttavia, se il petrolio resta troppo basso (g) si ridurranno gli investimenti per nuovi giacimenti e, soprattutto, per quelli di idrocarburi ottenuti via frammentazione di rocce bituminose e simili (shale oil e gas) accelerando così il ritorno a prezzi altissimi dell’energia. Inoltre, (h) il mercato americano non potrà reggere a lungo il ruolo di locomotiva globale unica. Sintetizziamo una matrice, qui molto semplificata, che componga i costi e benefici calcolati dall’incrocio dei fattori citati sopra, dalla (a) alla (h), e chiediamoci se la Fed abbia la possibilità di fare una scelta non-distruttiva. Secondo me, in questa situazione, l’unica cosa meno distruttiva che può fare è quella che in effetti sta facendo: rinviare il rialzo dei tassi, facendone uno minimo per salvare la credibilità, ma comunicando che poi il costo del denaro rimarrà basso a lungo. Infatti, sta comunicando la misura, di un irrilevante 0,25%, del rialzo, ma enfatizzando la continuazione di tassi minimi. Quando lo farà? Quando percepirà che i mercati avranno ricevuto il messaggio: la Fed vigila, ma lascerà briglie sciolte a lungo. Il dollaro si alzerà di un po’, ma non di tanto. Scelta giusta? Di fatto è una scelta di non scelta per evitare errori in un momento in cui il mercato globale è troppo vulnerabile e scoordinato per reggerli.

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