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Carlo Pelanda: 2015-5-17Libero

2015-5-17

17/5/2015

Evitare l’implosione del Sud per salvare il Nord

Il Sud sta collassando. La politica rimuove il problema come se la depressione di 2/5 della popolazione italiana e di circa 1/3 del territorio non avesse impatto sull’intera economia nazionale. Invece lo ha, pesantissimo. Chi pensa che la ripresa del Nord industriale poi manterrà a galla il Sud si sbaglia: è più probabile che avvenga il contrario, cioè che l’implosione del Sud affondi il Nord stesso. Per questo è un “problema nazionale “ e non solo del Mezzogiorno. La differenza? Se il problema è nazionale lo si dovrà risolvere a livello di modello altrettanto nazionale, se lo si considera locale si tenderà a gestirlo con politiche settoriali senza modificare il modello stesso. La conseguenza? Variare il modello economico complessivo affinché i soldi fluiscano in quella parte del territorio dove ora non arrivano. Perché la politica finora non ci ha pensato? Sintetizzo due motivi citando un ricordo che penso aiuti a capire. Alla fine degli anni ’80, in un seminario dell’Arel quando questo think-tank era un centro di veri potere ed eccellenza analitica, posi la stessa questione a Beniamino Andreatta. La risposta fu che finanziare con le tasse prelevate dal Nord produttivo i redditi del Sud capitalizzava ed aumentava la domanda dei beni prodotti dal Nord industriale stesso, alla fine, favorendolo. In quegli anni stavo studiando la rappresentazione territoriale dei processi economici, in particolare il modello centro/periferia elaborato da Immanuel Wallerstein che, pur pericolosamente marxista, mostrava interessanti robustezze. Con quello in mente reagii dicendo che allora il Sud era rappresentabile come una periferia economica utile al centro produttivo del sistema italiano, aggiungendo: ma se così, allora come diavolo sarebbe riuscito a diventare centro esso stesso, ovvero territorio sviluppato? E insistetti: il finanziamento assistenziale va bene per un breve periodo, giusto per arrivare al punto in cui il libero mercato possa prendere piede, condizione raggiunta dal Sud nei primi anni ’80, perché solo tale configurazione avrebbe, a livello nazionale, portato la periferia ad essere centro. Provocai nei democristiani illuminati presenti una riflessione, ma in quelli meridionali un’antipatia aggressiva. Questi, infatti, con i loro colleghi del pentapartito di allora, difendevano il vantaggio di poter orientare le risorse statali che finanziavano un Sud senza mercato privato in modi che assicuravano loro un potere di signoraggio, poi convertibile in consenso. Solo l’idea di ridurre i soldi assistenziali affidando lo sviluppo del territorio a soluzioni di mercato li fece inorridire. Mi ricordai la scena anni dopo quando ebbi l’occasione di osservare come la Bosnia fu stabilizzata: ai capi delle tre etnie in guerra furono concessi aiuti esteri ed il potere monopolistico di loro allocazione per mantenere il controllo del territorio, impedendo il formarsi di un libero mercato fonte di nuovi competitori. Ora il denaro pubblico sarà sempre meno, per i noti motivi, ed il modello di Sud assistito come “periferia utile” imploderà a danno dei locali e della nazione. I dati mostrano che il calo di occupati, redditi e consumi al Sud frena la ripresa del Nord. Una nuova migrazione all’estero, che è in atto tra i giovani, non sarà una soluzione, ma un peggioramento in quanto ridurrà la scala del mercato interno che contribuisce per l’80% alla formazione del Pil (l’export lo fa per circa il 20%). La migrazione al Nord avrà pochi sbocchi perché il sistema industriale, pur ancora forte, è compresso dal modello depressivo. Bisognerà proprio cambiare il modello nazionale, tagliando spesa e tasse in quantità massive, configurandolo il più possibile per essere pro-mercato. Basterebbe per un Sud con il problema di essere una penisola montagnosa lontana dal centro del mercato europeo? No, sarà necessario ridurre in modo differenziale i costi per queste aree geograficamente svantaggiate: in Sardegna e Sicilia zero tasse per nuovi insediamenti industriali per un decennio; in tutto il Mezzogiorno accordi salariali aziendali correlati al costo della vita, ecc. In conclusione, per riunire le due Italie riducendone il divario nel tempo si dovrebbero dare al Sud meno soldi assistenziali in cambio di competitività differenziale per costo in un’Italia con modello rivoluzionato in senso pro-mercato. Azione difficile? Certo, ma osservate l’impoverimento del Sud ed il declino del Nord prima di considerarla infattibile o rinviabile.

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