Dopo il debole provvedimento sulla competitività è più chiara la linea del governo Renzi: limare il modello economico per tentare di renderlo sostenibile, ma senza cambiarlo. La speranza di discontinuità rigenerativa portata da questo rimarchevole politico è stata mal riposta. Aumenta, infatti, la probabilità che senza cambiamenti sostanziali di modello l’economia italiana proceda in stagnazione e gap competitivo fino ad un punto di rottura finale, non lontano. Per dare un termine di riferimento utile a capire cosa sarebbe necessario fare per invertire tale destino negativo va segnalato il caso inglese. Il governo Cameron, 2-3 anni fa, cominciò a tagliare di circa 100 miliardi equivalenti la spesa pubblica e le tasse, portando quelle complessive sulle imprese a non più del 20%. Iniziò a privatizzare il privatizzabile e liberalizzò il mercato del lavoro. Ora la crescita del Pil nel Regno Unito è del 3%, la disoccupazione sta scendendo sotto il 6% e si osserva perfino un processo di reindustrializzazione trainato dalla competitività del sistema. I due modelli economici e politici sono diversi, quello inglese poi gode di una sovranità monetaria e di bilancio che ha usato a piene mani, ma non al punto da rendere impossibile ottenere in Italia, pur euro-ingabbiata, un risultato simile. La vera differenza è che a Londra un premier ed un partito hanno avuto il coraggio di tentare la cosa giusta mentre in Italia ciò non sta avvenendo perché continuano le scelte facili, cioè quelle che evitano dissensi forti, poco incisive per questo. Se l’Italia non riuscisse a conquistare una crescita di almeno il 3% del Pil entro un biennio, e poi mantenersi vivace, ed a competitività crescente, non riuscirebbe a reggere più il proprio sistema industriale ed il debito. Ciò imporrebbe il commissariamento europeo per evitare l’insolvenza e tale cura sarebbe più brutale ed impoverente, forse fatale, di quella, invece, ancora possibile per scelta sovrana. Nel 1996 ci fu una situazione simile: bisognava rendere l’Italia eurocompatibile ed allo stesso tempo cambiarne il modello per renderlo competitivo nella concorrenza globale che proprio in quell’anno esplose con evidenza. Ma la scelta del governo Prodi vincolato da una maggioranza di sinistra fu quella di fare la cosa più semplice e non quella più giusta: limare i costi degli apparati per evitare di ridurli, alzare le tasse, ma cercando di incentivare con misure specifiche alcuni segmenti del mercato per tentare di farli sopravvivere nell’ambito di un modello inefficiente. Per inciso, i governi successivi fecero lo stesso, fatto che dovrebbe innescare una riflessione sul tasso di liberalismo nel centrodestra. Ma oggi va marcato che Renzi è in piena continuità con Prodi: limare i costi del welfare inefficiente, dando un po’ di ossigeno al mercato per rendere il modello sostenibile senza cambiamenti discontinui. Con dettagli perfino surreali: si continua con un’economia della domanda, per esempio gli 80 euro, quando non ci sono i soldi per alimentarla mentre sarebbe urgentissimo passare ad un’economia dell’offerta, cioè seguire l’esempio inglese detto sopra. Ciò dimostra che il governo ha un’impostazione ideologica, sostanzialmente, di sinistra conservatrice e spiega perché Renzi abbia chiesto più flessibilità europea per fare deficit: finanziare la continuità del modello inefficiente. Messi così, appunto, la probabilità di stagnare e perdere competitività nel prossimo futuro è elevatissima, fino al punto di rottura. Quanto vicino? Prodi, pur sbagliando, poteva contare nel 1996 su una ricchezza nazionale maggiore per sostenere un tempo lungo di decadenza lenta senza traumi strutturali e per questo non si preoccupò di usare la ricchezza stessa per finanziare il passato invece del futuro. Ora l’Italia ha esaurito la ricchezza e non ha più di 2 o 3 anni prima che il declino competitivo porti al punto di rottura. Spero che Renzi se ne accorga e faccia più discontinuità pur nei limiti di un politico di sinistra. In particolare, eliminare la forza di sindacati e burocrazia, materie su cui suggerisco temporaneamente di aiutarlo ricordando che è azione più fattibile da sinistra, come avvenuto in Germania e Regno Unito ai tempi di Schroeder e Blair, che tolse ostacoli al successivo liberismo cameroniano, facilitandolo. Ma se entro un paio d’anni non sarà sostituito da un Cameron italiano, e relativa maggioranza capace di scegliere la cosa più giusta e non quella più semplice, l’Italia, pur miracolosa grazie alla vitalità del suo popolo del mercato, imploderà.