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Carlo Pelanda: 2013-3-12Libero

2013-3-12

12/3/2013

L’Europa deve darci una cosa e noi saperla chiedere

L’Italia è in emergenza. La caduta del Pil prosegue: in base ai dati Istat è già stata acquisita una decrescita dell’1% nei primi mesi del 2013 e parecchi analisti la proiettano ad un -2% alla fine dell’anno. L’attualizzazione di tale ipotesi sarebbe devastante perché aumenterebbe a spirale la disoccupazione, ora attorno all’11%, portandola rapidamente verso il 20%, anche considerando che molti lavoratori classificati oggi come occupati sono in realtà in cassa integrazione nell’ambito di aziende la cui ripresa è improbabile. L’Ocse rileva segni di miglioramento nell’economia dell’Eurozona e da questi deriva uno scenario meno pessimista sull’Italia in quanto sconta un traino di crescita esterna sul mercato interno agonizzante. Ma tale effetto, qualora si verificasse, sarebbe troppo tenue. Anche perché la crisi italiana dipende principalmente da fattori interni: stretta e terrorismo fiscali portati a livelli tali da deprimere consumi e investimenti, complicati da una legge sul lavoro che impedisce di fatto gli accessi al lavoro stesso nonché rende troppo onerosa la riduzione dei costi fissi nelle aziende impedendone la riorganizzazione competitiva. In sintesi: ogni attività economica dipendente dal solo mercato interno è moribonda, si possono salvare solo le aziende esportatrici, ma queste non bastano a bilanciare la decrescita del sistema nazionale. Altri commentino la sequenza di governi incompetenti, quasi surreali, che ha portato l’Italia in una spirale catastrofica ed una politica corrente fatta di strambi che nemmeno mette in priorità il contenimento e l’inversione delle tendenze. Io cerco sempre soluzioni e osservo che il nostro sistema economico ha ancora sufficiente vitalità per riprendersi se trova ossigeno, presto. L’ossigeno più veloce e di maggior impatto positivo sul ciclo economico verrebbe dalla decisione di pagare i debiti degli enti pubblici con le imprese fornitrici. Si tratta di 75 miliardi non ancora contabilizzati come debito pubblico, ma che in realtà lo sono. Molti stanno invocando tale misura. Ma è frenata dal timore, di governo e tecnici del Tesoro, di far salire a picco il debito causando un aumento dello spread e del costo di rifinanziamento del debito stesso. Il rischio c’è. Ma prendiamo il toro per le corna: (a) comunque il mercato conosce questo debito sotto il tappeto e già lo sconta; (b) 75 miliardi ottenuti via emissione di nuovo debito e subito immessi nell’economia certamente ridurrebbero fino quasi a zero la recessione 2013, lanciando un 2014 espansivo, migliorando così il rapporto debito/Pil sul lato del denominatore; (c) l’Italia chieda alla Ue un formula speciale di deroga dalle regole di bilancio in pareggio – per esempio un prodotto finanziario garantito da patrimonio statale - per mettere questi 75 miliardi in una contabilità a parte affinché non si cumuli con il debito complessivo. Il 14 e 15 marzo ci sarà una riunione del Consiglio europeo a Bruxelles. Da un lato è impensabile che questo organismo, e la governance dell’Eurozona, trovino il consenso di Merkel per deliberare iniziative in deroga a favore dell’Italia perché questa, pur pragmatica, signora non vuole mostrare cedimenti nei confronti degli euroterroni agli elettori tedeschi che disprezzano e temono il disordine italiano e che dovrebbero rieleggerla nel prossimo settembre. Dall’altro, senza questo pronto soccorso, considerando l’improbabilità che un qualche governo italiano possa fare qualcosa di diverso e risolutivo nei prossimi mesi, l’Italia diventerà certamente una mina per l’euro prima di settembre e motivo per non eleggere Merkel che promette di saperlo tenere in piedi. Vanno poi ricordate le concessioni (vergognose) fatte alla Francia. Quindi c’è uno spazio negoziale per ottenere il consenso europeo su un’operazione di finanza pubblica straordinaria che immetta 75 miliardi veloci e salvifici nella nostra economia. Possiamo sperare che il post-governo Monti abbia le palle e la capacità per farlo?

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