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Carlo A. Pelanda
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Carlo Pelanda: 2012-10-2Libero

2012-10-2

2/10/2012

Parole pericolose

La differenza politica principale non è tra destra e sinistra, ma tra chi paga le tasse ed è un buon cittadino e chi no. Parole di Monti. Sconcertanti, per un liberale, perché fanno riferimento all’idealismo autoritario hegeliano contrapposto al “contrattualismo” di Kant che è il fondamento della democrazia liberale. In particolare, Monti dovrebbe valutare quanto siano sfortunatamente inadeguate nella situazione italiana. Infatti sembra dimenticare uno dei punti più dolenti della storia contemporanea nazionale: la natura implicita e non formalizzata, quindi ambigua, del contratto fiscale tra Stato e cittadini. Gli ricordo questa specifica storia come mi fu spiegata da Francesco Cossiga quando ne fui consulente al Quirinale. Poiché prima avevo per lo più lavorato in America, volle farmi capire le anomalie dell’Italia per svolgere con più cognizione le mie missioni (pur estere) al servizio dell’interesse nazionale. In breve. Negli anni ’70 e ’80 fu massima la pressione delle sinistre per un modello di Stato che fornisse garanzie economiche assolute ai lavoratori dipendenti. La DC, in difficoltà, cedette e acconsentì. Ma dovette anche proteggere il proprio elettorato, per lo più composto dal popolo che vive di mercato, non potendo dare a questo le medesime garanzie. Pertanto decise di lasciare laschi i controlli fiscali, offrendo al popolo del mercato l’opzione di evadere parzialmente le tasse. Tale bilanciamento ebbe anche una formulazione dottrinaria non-banale: poiché non era riconosciuto dalle leggi fiscali il rischio di impresa, allora lo si riconobbe in forma implicita come diritto di fatto nel trattenere ricchezza sottratta al dovere fiscale formale. Tale impianto – garanzie assolute per una parte degli italiani e diritto di fatto all’evasione per gli altri – è un contratto fiscale implicito, orrendamente disfunzionale per tutti, che è rimasto vigente fino a poco tempo fa, certamente confermato dal voto di maggioranza nel 2008. Ora tale contratto è stato violato dalla dichiarazione di guerra agli evasori, e conseguente terrorismo fiscale. Monti non ha voluto riconoscere che gli evasori non sono del tutto colpevoli, pur non formalmente innocenti. Peggio, incita per il futuro a pagare le tasse senza porsi il problema di che cosa servano, di quanto siano giustificate. Un leader competente, invece, avrebbe detto: (a) cittadini, il contratto fiscale del passato è ambiguo, (b) per intanto mettiamo un confine tra passato e futuro offrendo ai violatori un’amnistia, onerosa, che metta tutti alla pari per innocenza; (c) per ora vi prego di accettare tasse sproporzionate e non legittimate dal voto perché la nazione è in emergenza; (d) ma per il futuro il contratto fiscale va reso esplicito e precisato in forma concorrenziale dai partiti affinché il voto democratico possa selezionare quello da adottare (e poi un nuovo governo bilanciare gli interessi). Questo sarebbe un modo contrattualista e democratico di porre la questione fiscale in Italia. Monti, invece, la semplifica imponendo: paga e taci o ti criminalizzo. Autoritarismo, semplicismo o tattica? Penso prevalga lo strumentalismo tattico. Monti ha scelto di pareggiare il bilancio alzando le tasse sottovalutandone l’effetto depressivo che riduce il gettito. Se ora correggesse l’errore tagliando molta spesa, l’effetto di riequilibrio non si vedrebbe nei prossimi 6 mesi in cui resterà in carica. Quindi deve proseguire nell’errore, drenando più tasse possibile, giustificandole con una teoria morale ad hoc. Posso comprendere. Ma Monti deve capire che la sua dottrina e politica fiscale aumentano il rischio di guerra civile tra popolo che vive di mercato, compresso fino alla morte dal maglio fiscale senza bilanciamenti, e popolo che vive di denari fiscali. Non vorrei succedesse a causa di un gentiluomo che, scoprendosi inadeguato, cerca di togliersi dai guai scegliendo la cosa più semplice e non quella più giusta.

(c) 2012 Carlo Pelanda
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