La ripresa lenta è a rischio di ricaduta
Di Carlo Pelanda (8-9-2009)
Caro Esarcato, gli istituti economici internazionali nonché le Banche centrali ed i governi del G20, i cui ministri finanziari si sono riuniti a Londra per valutare la situazione lo scorso fine settimana, prevedono una “ripresa lenta” dell’economia globale. Ma “ripresa lenta”, in realtà, significa stagnazione per almeno due o tre anni. Se così, si apre un periodo molto difficile da governare e dove, in particolare, sono possibili errori fatali di politica economica e monetaria. Come minimizzarli?
Fino a due mesi fa gli scenari di uscita dalla recessione globale erano quattro. Immaginate un grafico dove il tempo va da sinistra a destra e la crescita economica dal basso verso l’alto, i due dati incrociati: (1) ripresa a forma di “V” per indicare un rimbalzo veloce e forte dopo la caduta a picco della domanda mondiale dal settembre 2008 al febbraio 2009; (2) A forma di “W” per indicare una ripresa a razzo, ma non sostenuta, che si interrompe e fa ricadere a picco l’economia; (3) a forma di “L”, stagnazione duratura dopo la caduta, definito “scenario nipponico” in ricordo della lunga deflazione, fino al 2005, seguita all’implosione nel 1992 della bolla finanziaria/immobiliare in Giappone; (4) a forma di “U”, ripresa lenta, cioè risalita dopo un intervallo di stagnazione o crescita solo minima. Lo scenario a “I”, cioè di caduta catastrofica della crescita mondiale temuto nel dicembre 2008 non si è verificato e dal febbraio 2009 è valutato sempre più improbabile. Il più probabile, in base ai dati correnti, è quello a “U”.
E’ una buona
notizia in relazione al passato. Ma nello scenario che sto
dettagliando con i miei ricercatori di Globis, University of Georgia, nei
pressi di Atlanta da dove vi scrivo, la buona notizia per il futuro ancora non
c’è. La locomotiva americana sta tornando a girare, ma la sua riparazione -
rientro dal debito privato e pubblico, ripresa del credito e del mercato
immobiliare - non solo è lenta, ma promette una ripresa dei consumi
insufficiente per trainare, via importazioni, il resto del mondo. Ciò significa
che le economie molto dipendenti dall’export (Cina, Giappone, Corea, Germania,
Italia) dovranno aumentare la crescita interna per compensare le minori esportazioni.
Ma è difficile cambiare modello in poco tempo.