Combattere
la disoccupazione è ora la priorità
Di
Carlo Pelanda (16-6-2009)
Mentre la
domanda globale cadeva a picco i governi, tra cui il nostro, hanno potuto solo
contenere l’impatto della recessione. Ma ora
il mercato, pur ferito e zoppicante, comincia rimettersi in moto. Se il
mercato c’è i governi hanno la possibilità di accelerarne la crescita o
frenarla. Mentre dal settembre 2008 al marzo 2009 ben poco di sensato si poteva
scrivere sui giornali per criticare o stimolare i governi, adesso lo si può e
deve fare.
Ora la
prossima fase critica è quella dell’aumento della disoccupazione. Tale
priorità, qui anticipata più volte, è stata ben precisata da innumerevoli
fonti. Il summit dei ministri economici del G8 a Lecce, la recente relazione
del Governatore della Banca d’Italia, tutti gli istituti di ricerca. La Chiesa Cattolica sta
mobilitando la sua influenza morale per prevenire l’impatto sociale che si
annuncia nei numeri tecnici. Ma i governi europei sono riluttanti a dichiarare
l’emergenza nonostante dati che mostrano un incremento tendenziale medio tra il
2 ed il 3% della disoccupazione nell’eurozona. Tremonti, in particolare, ha
fatto una strana dichiarazione in materia. Non ha negato, ovviamente, la brutta
tendenza, ma ha insistito sul fatto che ci voglia più analisi (un nuovo sistema
di monitoraggio) per precisarla. In generale, i governi europei temono una
pressione per ridurre le tasse allo scopo di incentivare le imprese a
licenziare di meno o a tornare ad assumere. I bilanci pubblici sono già in
deficit per i denari usati nei salvataggi o negli ammortizzatori sociali
combinati con la caduta del gettito conseguente a quella del Pil (-5%
tendenziale per l’Italia nel 2009, -1% nel 2008). Hanno paura che si crei un
conflitto tra equilibrio di bilancio ed economia reale nonché uno scontro tra
dipendenti pubblici e privati. Questo, infatti, è il problema. Cerchiamo di
semplificarlo. Una recessione grave genera tre ondate di disoccupazione: (a)
una nel picco di crisi; (b) la seconda nello “strascico” recessivo; (c) la
terza in fase di ripresa quando le imprese riducono i costi per recuperare i
profitti con cui ripagare i debiti ed accendere nuovi investimenti. In ogni
ripresa c’è un periodo di “crescita senza occupazione” proprio perché scatta la
terza ondata. Ora in Italia siamo nel mezzo della seconda. Per ridurne
l’impatto e minimizzzare la terza l’unica soluzione è quella di ridurre le
tasse alle imprese (e nella busta paga dei dipendenti). La previsione di minori
costi fiscali futuri incentiva l’impresa ad aumentare produzione e forza
lavoro. Ma per ottenere tale effetto
bisogna ridurre sostanzialmente costi statali e tasse. Ciò crea due grossi
problemi ai governi. Il primo è tecnico. Se tagliano la spesa pubblica mentre
la ripresa è ancora incerta rischiano di produrre un effetto nuovamente
recessivo. Devono quindi trovare il momento giusto, per inciso “il punto di
inversione del ciclo”. Ma ci siamo vicini. Pù rilevante è quello politico.
Tagliare spesa per detassare significa ridurre il potere dei partiti, rompere
equilibri, colpire rendite, generare conflitti. Da un lato, il governo potrebbe
tranquillamente ridurre di ben il 15-10% (in un quinquennio) la spesa tagliando
costi inutili. Dall’altro, tale azione sarebbe un inferno politico. Ma senza
una grande detassazione avremo più
disoccupazione. Ora il governo sta tentando un compromesso: detassare un po’ le
aziende che investono. Via giusta, ma sarà troppo poco. Con questa recessione
non si scherza. Non c’è margine per soluzioni “politichesi”. Il governo deve
decidere mosse forti ed incisive o se no diverrà parte del problema e non della
soluzione.
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