La
ripresa ha bisogno di una nuova locomotiva globale
Di
Carlo Pelanda (11-8-2009)
Caro
Esarcato, guardiamo le tendenze dell’economia globale. Saranno queste, infatti,
a determinare l’entità della ripresa in Italia perché molto dipendente
dall’export. Quando e quanto ci sarà la ripresa della domanda mondiale?
La ripresa è
già in atto pur non in modo omogeneo. Gli istituti di ricerca prevedono che nel
2010 sarà robusta. Ma vedo – con il mio gruppo di ricerca - un’ombra, anzi una
tempesta, all’orizzonte. Il mercato mondiale sta cambiando. Dal 1945 al 2008 è
stato retto dall’America che importava beni da tutto il pianeta producendo un
effetto locomotiva diffuso. Per esempio, il Giappone esportava molto in
America, ma anche importava tante cose per costruire le cose da esportare, così
gli europei, ecc. Tutte le economie si
sono adattate a questa configurazione generando modelli di crescita basati più
sull’export che sulla crescita interna. Già alla fine degli anni ’90 il mercato
statunitense si rivelò essere troppo piccolo per reggere un’economia
internazionale che si era ingrandita. Per dieci anni la locomotiva ha
continuato a correre comunque perché “pompata” dal ricorso massiccio al debito
per sostenere consumi e importazioni, finanziato dagli esportatori. Ma ciò la
ha portata fuori giri. Ed al primo incidente in un settore il sistema
complessivo era così vulnerabile per squilibrio da implodere. Ora l’America
dovrà risanarsi con un lento riequilibrio. Importerà di meno e per questo tutte
le nazioni dovranno cambiare modello economico facendo più crescita interna per
bilanciare il minore export. La
Cina sta tentando, ma con esiti minimi. I Paesi dell’eurozona
dovrebbero ridurre tasse e costi statali per dare impulso al mercato. Il
Giappone dovrebbe perfino cambiare modello di società rinunciando al suo
peculiare consociativismo. Difficile che ci riescano in tempi brevi. Ed è
un’ombra sull’entità della ripresa. Ma c’è un pericolo più grave. Nella
necessità di fare più crescita interna molti Paesi potrebbero ricorrere al
protezionismo “implicito”. Per esempio, svalutazioni competitive o politiche
economiche nazionali che riducono i volumi del commercio internazionale nonché
inducono una instabilità endemica nel sistema finanziario e monetario. Se tale
rinazionalizzaizone dell’economia globale avvenisse, e ci sono parecchi
sintomi, potrebbe esserci una depressione mondiale. Cosa possiamo dire oggi al
riguardo sia del rischio di ripresa lenta, anche dovuto alla riparazione non
breve del sistema finanziario, sia di quello di rinazionalizzazione del mercato
globale? Il secondo è il più rilevante ed influisce sul primo. Da un lato i
governi del G20 si sono impegnati a minimizzarlo. Ed è una buona notizia. Ma il
punto critico dello scenario è la sostituzione della locomotiva statunitense, o
la sua integrazione, affinché ci sia un centro motore (ed ordinatore) del
mercato globale che lo tenga stabile ed aperto. Al momento tale centro si sta
costituendo in forma di sistema binario America-Cina. Ma sembra più una
sommatoria di due debolezze, non ultima quella monetaria, che la convergenza
tra due forze. Chi scrive si sentirebbe meglio se vi fosse un G2 euroamericano
ed una convergenza tra euro e dollaro. Questa, in particolare, sarebbe il
pilastro su cui ancorare un accordo di stabilità monetaria internazionale, base
per la crescita e stabilità globali. Ma non c’è segno di una tale direzione.
Oggi, pertanto, non resta che invocarla e segnalare che alla fine del picco
della crisi economica globale corrisponderà l’inizio di quella politica. Per
questo l’interesse dell’Italia è di premere
Ue ed America affinché formino un G2 che sia pilastro, centro e motrice
del mercato mondiale.