C’è
molta geopolitica sotto la demonizzazione della Chiesa
Di
Carlo Pelanda (29-5-2007)
C’è qualcosa
che non va negli eccessi di demonizzazione contro la Chiesa cattolica. Chi
scrive è non credente e si ritiene neoilluminista. Ma proprio perché liberale
sento il dovere del garantismo contro chi potrebbe essere accusato
ingiustamente. Inoltre, per mestiere, studio ed insegno scenaristica strategica
e ne vendo con soddisfatta avidità i prodotti sul mercato. Anni fa osservai una
reazione forte di contrasto al disegno di Karol Woytyla di unire i cristiani,
cattolici, protestanti ed ortodossi, nonché anglicani. Per questo vedo la
questione dei sacerdoti pedofili che ora sarà presentata in televisione con
molta prudenza. Vi invito a fare lo stesso.
Lasciatemi enfatizzare
la componente “geopolitica” della questione perché la meno nota. La Chiesa ortodossa sabotò
passivamente il disegno di Woytyla, un po’ per la pretesa di essere la vera
Chiesa erede di Bisanzio (ricorda qualcosa a voi dell’Esarcato?), questione interna
ai preti, e molto per non perdere la peculiare relazione di influenza sulla
politica di Mosca, nella nuova Russia. Ma una parte dei gruppi protestanti
statunitensi, e non solo, attuò un sabotaggio attivo contro i cattolici. Siamo
alla fine degli anni ’90 ed all’inizio del 2000. Le èlite politiche americane,
sia democratiche sia repubblicane, stavano osservando con preoccupazione che lo
scenario di integrazione dei cristiani perseguito da Giovanni Paolo 2° stava
disegnando un Occidente cristiano che non coincideva con il perimetro
occidentale voluto da Washington. Includeva, infatti, la Russia e l’America latina,
ma, soprattutto, spostava il centro del mondo da Washington al Vaticano. E tale
spostamento simbolico era percepito come una leva che avrebbe potuto
destabilizzare l’area di influenza statunitense. In questo clima politico
iniziò a prendere visibilità in America la questione dei sacerdoti pedofili. I
casi criminali ci furono, ma la tecnica di delegittimazione più raffinata è
proprio quello di prendere un caso vero ed espanderlo con significati
demonizzanti e non di inventarlo. Ai miei studenti – in America, Atlanta –
mostro i seguenti casi quando apro il capitolo delle strategie comunicative.
All’albore dei mezzi di comunicazione Goebbels inventava fatti di sana pianta
per scopi di propaganda. Ma negli anni ’60 il Direttorato per le strategie di
influenza del sovietico KGB elaborò una nuova tecnica per creare i movimenti
pacifisti nell’area occidentale. Prendere dei casi veri, per esempio gli eccidi
di civili fatti per errore da soldati americani in Viet-Nam ed amplificarli.
Una volta andati in prima pagina, poi, altri soggetti avrebbero continuato la
mobilitazione per diversi motivi ideali. E così la demonizzazione appariva credibile
perché sostenuta da persone sincere. Un vecchio ex-maggiore del KGB, quando mi
raccontò i dettagli della tecnica, disse ridendo che l’idea era nata osservando
quanti cretini e corrotti ci fossero nella società liberale. Bastava stimolare
qualche giornalista e la cosa era fatta. Per inciso, la stessa scuola fece
anche consulenza ai palestinesi insegnando loro a mettere qualche bambino
ferito davanti alle telecamere per demonizzare Israele, oscurando le sue
ragioni grazie a questo tipo di “gestione simbolica”. In America impararono la
tecnica, anche per tentare di difendersi. Voglio dire che qualcuno usò i casi
di pedofilia per delegittimare la
Chiesa cattolica e così sabotare la sua proposta di
unificazione dei cristiani e le conseguenti enormi conseguenze geopolitiche? E’
esattamente quello sospetto. Infatti tale strategia comunicativa si è attutita
dopo la morte di Woytyla. Ma la documentaristica demonizzante generata allora
non è andata in archivio. Resta in circolo per dissuadere Benedetto XVI° dal
continuare la strategia di Woytyla? Viene riesumata per rispondere alla
mobilitazione dei cattolici in Italia contro le sinistre? Una corrente
anglicana non vuole la riunificazione con Roma perseguita dall’altra? Non lo so,
ma so che la Chiesa
è un attore (geo)politico globale e che quindi quello che le succede ha motivi
altrettanto (geo)politici. Pensare, quindi, prima di valutare.
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