L’euro
forte è una trappola per l’Italia
Di
Carlo Pelanda (per 17-7-2007)
Forse non vi
interessano polemiche in materia di politica europea in un momento dove quelle
nostrane sono un circo spettacolare. Ma chiamo la vostra attenzione sulla
politica monetaria sbagliata in atto perché rischia di fare danni all’Italia
perfino peggiori di quelli causati da Prodi e soci.
La Banca centrale europea e il
governo tedesco hanno espresso nei giorni scorsi le seguenti posizioni: (a)
l’aumento del valore di cambio dell’euro sul dollaro non produce perdite
sensibili alla crescita; (b) in ogni caso un sistema economico nazionale deve
diventare capace di esportare anche in condizioni di cambio forte. La polemica
tecnica riguarda la formula adottata dalla Bce: per ogni 5% di incremento del
valore di cambio dell’euro sul dollaro l’eurozona perde lo 0,1% di Pil. Un’inezia.
Ma da parecchi studi emerge la sensazione di un danno molto maggiore. Certamente
per l’Italia lo è. Per esempio, quanti turisti provenienti dall’area non-euro
stanno arrivando in Italia dovendo pagare prezzi maggiorati fino al 30% per
motivi di cambio? Un cinese che compra un aereo franco-tedesco (Airbus) oppure
un treno fatto in Germania o una centrale di energia o un macchinario per fare
vestiti probabilmente li compra lo stesso nonostante l’incremento di prezzo
dovuto al cambio perché sono beni strategici. Ma l’italiano o altro europeo che
esporta merci in competizione con altri su mercati terzi o sta riducendo le
vendite o deve rinunciare al margine. Per questo mi sembra che la Bce, se non proprio truccato,
ha cosmetizzato i dati detti sopra per difendere la sua politica di euro forte
e che sia sospettabile di eccessi ideologici. Che sono evidentissimi nelle
dichiarazioni del governo tedesco ed altri, in occasione dell’attacco poi
rintuzzato di Sarkozy contro il cambio decompetitivo dell’euro: una nazione
“deve” saper adeguarsi. E se non ce la fa? Se parte del suo sistema economico
non è così modernizzato e qualificato da poter fare a meno della competitività
valutaria per vendere? Allora muoia. Chi in Europa riesce a sopravvivere ad un
euro così alto sul dollaro e monete collegate? L’industria tedesca che fa
grandi sistemi ci riesce con poco danno. Quella francese con molti problemi. E
l’Italia che contiene sia un’economia qualificata sia una fragile? Annaspa. Da
un lato, è vero che molto export va nel ciclo intraeuro, ma è anche vero che
tanto deve competere nell’area del dollaro. Oltre una certa soglia di cambio,
che stiamo raggiungendo, noi ed altri europei più deboli rischiamo una seria
crisi deindustrializzante. Il punto: se una nazione non ce la fa ad adattarsi
all’euro forte si accetta che questa vada in crisi dicendo idealisticamente che
dovrebbe adeguarsi. Si chiama idealismo monetario e l’applicazione della moneta
forte ad un’economia debole, peggiorata dal disordine politico, ha creato la
crisi argentina che tanto riempi le cronache pochi anni fa. Ma questa politica
monetaria folle viene sostenuta dalla Germania e dalla Bce in modi così ostinati
da renderla una tendenza permanente e non solo contingente. Sarkozy non è
riuscito a scalfirla pur ottenendo una compensazione. Ed è la Francia. Figuriamoci
come possa la più debole Italia, senza un governo credibile, difendere i propri
interessi, cioè l’adeguamento dell’euro alla realtà. Cosa possiamo fare?
Segnalare il dissenso alla Bce può portarla ad un po’ di pragmatismo che ne
attutisca l’idealismo monetario, ma servirà a poco. Resta quindi l’unica
soluzione di ridurre altri costi (energia, tasse, ecc.) per recuperare con
l’efficienza il gap di competitività valutaria. Ma ditelo voi a Prodi perché a
me vien da ridere.
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