La presidenza italiana del G7 va preparata bene


Di Carlo Pelanda (9-9-2016)


Senza voler dare lezioni al governo, va segnalato che la presidenza italiana del G7 nel 2017 cadrà in un momento cruciale per le relazioni tra democrazie europee, nordamericane e giapponese e che qualche riflessione esterna potrebbe aiutare quelle interne. Troppo presto per studiare un’agenda senza sapere chi vincerà le elezioni in America (novembre 2016) Francia (primavera 2017) e Germania (autunno 2017) e se il governo italiano resisterà alla prova del referendum? Al riguardo dell’Italia va annotato che non può permettersi un’instabilità di governance, per mille motivi, nel 2017 e che la politica rilevante in materia ne è consapevole. Inoltre, nell’ambito del G7 l’Italia è la nazione con minore probabilità di poter cambiare la propria linea di politica estera, anche in caso di cambio della maggioranza nel 2018. Francia e Germania appaiono a rischio di instabilità interna e nuove direzioni politiche esterne, ma questo è minimo: nella prima, all’eventuale vittoria della destra lepenista al primo turno risponderebbe una maggioranza repubblicana; nella seconda l’ascesa di ali estreme comunque non metterebbe a rischio i numeri di una grande coalizione tra democristiani e socialdemocratici. Chi può cambiare direzione, invece, è l’America. Ma lo sapremo presto. Inoltre, sappiamo già che lo strumento scelto nel 2013 per compattare il sistema trilaterale delle democrazie, cioè trattati di libero scambio con elementi di mercato unico e forte valore di alleanza geopolitica, ha subito una crisi dei consensi sia in Europa sia negli Stati Uniti (molto meno in Canada e in Giappone) che durerà, anche se le nuove leadership fossero pro-convergenza. Questo problema individua la missione principale del potere di agenda italiano – formale, ma non irrilevante - nel prossimo G7: rielaborare il concetto di mercato integrato delle democrazie europee, americane e asiatiche in modi tali da ridurre i dissensi e così preservare questa idea strategica di Occidente a convergenza progressiva, pilastro e generatore degli standard mondiali. Se ci sarà Clinton, sarà più facile, ma non tanto. Con Trump sarà difficile, ma non impossibile. Si tratta, in sostanza, di superare il Ttip e il Tpp (sul lato del Pacifico) senza cancellarne lo spirito, ma rielaborandone i tempi, modi di applicazione e i nomi, soprattutto, generando un gruppo tecnico specializzato e permanente entro il G7 per coordinare la rielaborazione e armonizzazione dei diversi trattati. La cultura italiana del realismo politico ha, diversamente da altri alleati, questa capacità e qui mi permetto di sollecitarla.