Una Fondazione nazionale per risanare l’Italia


Di Carlo Pelanda (7-10-2016)


Il termine finanza creativa desta sospetti, ma diventerebbe una soluzione a un grave problema dell’Italia se applicato alla trasformazione dell’enorme patrimonio pubblico, per lo più illiquido e non remunerativo, in liquidità e fonte di profitti. L’Eurozona è disegnata in modi che attribuiscono a uno Stato la responsabilità di aderire con mezzi propri agli standard ordinativi ed escludono interventi mutualistici: una cessione di sovranità economica senza bilanciamento. L’Italia ha difficoltà che sarebbero risolte se avesse circa 600 miliardi di cassa aggiuntiva da spendere, in un decennio: a) 400 miliardi per ridurre con abbattimento secco circa 1/5 del debito pubblico, per portarlo vicino a un meglio gestibile 100% del Pil e, soprattutto, risparmiare dai 16 ai 18 miliardi annui di spesa per interessi, riallocandoli in modi produttivi; b) 40 miliardi, non tutti a perdere, per ricapitalizzazioni temporanee delle banche e garanzie/acquisto per le tranche mezzanine e junior dei crediti deteriorati; c) 90 miliardi, a perdere, per la messa in sicurezza di quasi il 70% del territorio esposto a rischio sismico e altri; d) 70 miliardi per nuove infrastrutture. Questi soldi eccedono la capacità di spesa pubblica proiettata sul decennio. Lo Stato non li ha come cassa né oggi né domani, ma li ha congelati nel patrimonio pubblico: partecipazioni, immobili e concessioni. Dal 1998 premo sulla stampa per un’operazione patrimonio contro debito: impacchettare un’aliquota del patrimonio ed emettere obbligazioni quotate con sottostante i rendimenti del patrimonio stesso con cui pagare parte dei titoli di debito che maturano, così riducendolo. E continuo. Ora, tuttavia, visto il fabbisogno sistemico più ampio, si potrebbe pensare a una società a proprietà statale, ma a conduzione professionale, alla quale viene conferito il patrimonio disponibile e data la missione di valorizzarlo via gestione, vendite e finanziarizzazioni, ad opportunità: non un fondo, ma una società d’investimento non regolata e non quotata, pur trasparente. Riconosciuta dall’Ue come ente privato (non facile,ma nemmeno impossibile) e quindi soggetto non imputabile di aiuti di Stato, con un profilo non-profit equivalente alla beneficenza sul piano civilistico e fiscale. Non ci sono comparabili nel mondo, ma non vedo ostacoli insuperabili per disegnare questo ente che, intanto, chiamerei Fondazione nazionale. Tale strumento sovrano bilancerebbe la cessione senza ritorno della sovranità economica e di generare i soldi che servono nel prossimo decennio per risanare l’Italia. Ci pensiamo?