Per funzionare l’Ue ha bisogno di un modello più elastico


Di Carlo Pelanda (24-6-2016)


C’è un modo per riparare l’architettura dell’Unione europea e dell’Eurozona che non funzionano e che per questo sono a rischio d’implosione? C’è. Il primo passo è riconoscere un errore: il progetto unionista avviato a Maastricht (1992) si è basato sul principio di togliere sovranità economica e monetaria (1999) alle nazioni senza bilanciare tale cessione con un ritorno della sovranità stessa in forme eurocompatibili, cioè con un “bollino blu”. Per tale motivo il conferimento della sovranità a un agente europeo ha causato l’impoverimento di troppe nazioni europee, destabilizzando il sistema sul piano tecnico e del consenso. L’errore ha un motivo geopolitico: la Francia, temendo che la Germania riunificata diventasse potere singolo, cercò di vincolarla e di toglierle il massimo strumento di potenza, cioè il marco. Kohl accettò (1996) per timore di riaprire la questione tedesca, ma non al punto da sciogliere la Germania in un’Europa confederale. Infatti, Berlino volle che l’euro fosse come il marco, che non ci fosse unione fiscale né trasferimento di denaro tedesco via obblighi mutualistici. E lo ottenne(1997). Ciò serve a dire che l’architettura fu segnata dalla priorità di mantenere la diarchia franco-tedesca e non di costruire qualcosa di funzionante. La storia della Comunità europea dal 1957 al 1989 è un eccezionale successo di composizione pragmatica delle nazioni, quella dell’Unione dal 1993 a oggi è un fallimento per mancanza di realismo. Ciò mostra la soluzione. Sarebbe distruttivo smontare l’Unione, irrealistico pensare a una sua confederalizzazione: resta solo l’opzione di aggiungere elementi pragmatici all’architettura per renderla più elastica. Draghi ha inaugurato una revisione via prassi della rigidità della Bce. Quella del complesso europeo richiederà trattati formali, facendo attenzione a non rinegoziare quelli vecchi, ma aggiungendo nuove clausole. La più importante, dovrebbe permettere a una nazione di definire un regime specifico di adesione alle euroregole, cioè di “convergenza differenziale”, approvato dal sistema, per limitarne l’effetto depressivo. Un’altra riguarda la configurazione mutualistica temporanea dell’eurosistema in casi d’emergenza. In sintesi, il modello dovrebbe prendere la forma di sovranità bilanciate, convergenti e reciprocamente contributive pur non condivise. Savona ed io ne abbozzammo la teoria in “Sovranità & fiducia” (2005). Il ripristino di una sovranità economica compatibile con l’eurosistema fu il punto principale di quella ricerca e dovrebbe ancora esserlo per quelle finalizzate a pragmatizzare l’Ue.