L’Italia è ammalata
di pessimismo ingiustificato
Di Carlo Pelanda (29-6-2010)
Le sensazioni
raccolte per strada indicano una crescente incertezza economica. I dati di
impiego della liquidità da parte delle famiglie mostrano che una quantità
eccessiva di questa è messa in riserva in previsione di guai futuri. L’Italia
appare ammalata di pessimismo eccessivo. Se continua o peggiora c’è il rischio
che il mercato interno vada in stagnazione endemica non bilanciabile dalla
ripresa dell’export, pur notevole e tale da far migliorare le previsioni di
crescita. Gli uffici del governo hanno calcolato che l’impatto deflazionistico
(impoverente) dei tagli alla spesa ora all’esame del Senato sarà attorno allo
0,5% del Pil. Ma se il pessimismo prende piede ci sarà un pericoloso effetto
moltiplicatore. E’ una priorità contenerlo e poi invertirlo.
Uno si comporta nel
presente in base a ciò che prevede nel futuro. Se domani ci sarà sole sarò
contento anche se oggi piove. E viceversa. Alla fine dell’inverno gli indicatori
registravano una iniziale ripresa dell’ottimismo. Poi, da qualche settimana, la
tendenza si è invertita. Ciò fa ipotizzare che gran parte della popolazione sia stata pessimizzata
dalla combinazione tra lentezza della ripresa e percezione che un’epoca era
finita in assenza di comunicazioni rassicuranti sul futuro. Mi sento di
ipotizzare che la causa prevalente è la percezione di cambio di sistema resa
pessimistica dalla mancanza di una visione di come sarà quello nuovo. Poi
questo fatto sta rallentando la ripresa interna. Se è così, appare inutile
ribadire che è tipico dei modelli
economici europei, e di quello italiano in particolare, seguire in ritardo di
almeno un anno la ripresa dopo le crisi globali come è successo dagli anni ’70
in poi. Il mondo è in boom, nel 2011 ne godremo anche noi, i primi segni,
appunto, già visibili. Ma questa volta non basta. La crisi del debito ha
sancito la fine dello Stato assistenziale che finanzia in deficit protezioni.
L’Europa e l’euro, percepiti in Italia come salvatori per la comunicazione lirica
fatta nel decennio scorso, si sono
svelati ostili. In sintesi, agli italiani che vivono di mercato protetto è
crollato il terreno sotto i piedi. Per esempio, un dipendente pubblico mi ha
confessato che sta spendendo di meno non tanto perché nei prossimi tre anni non
avrà aumenti, ma perché questa prima incrinatura del privilegio segnala la
possibilità di essere licenziati nel futuro. Mentre glielo confermavo con la
soddisfazione di quello che vive di mercato competitivo, mi sono reso conto che
sarebbe stupido non sedare un’ansia che è fattore di depressione della domanda e
di diffusione dell’incertezza. Come sarebbe stupido non segnalare l’effetto
depressivo sui consumi di lusso, che riguardano prodotti fatti da non ricche
tute blu, generato dall’annuncio in forma terroristica del redditometro. Per
non parlare della mancata rimozione dei blocchi e costi burocratici nel settore
immobiliare e, in generale, nelle iniziative di impresa che richiedono
autorizzazioni. In breve, il pessimismo è amplificato: (a) da un governo che
sta cambiando sistema di protezioni senza dare un’immagine rassicurante di
quello che verrà dopo e del piano complessivo di riequilibrio, cosa che pessimizza chi lavora nei mercati protetti; (b) da un
eccesso di repressione fiscale che deprime i consumi e chi lavora nel mercato
competitivo; (c) dalla continuità ostacolante dei pesi e costi burocratici
eccessivi che rallenta la ripresa interna. Se questo è il male, la cura è
evidente. Memo: la priorità della politica è produrre fiducia.