La soluzione esterna
Di Carlo Pelanda (25-5-2010)
Da un lato c’è la
crisi dell’Eurozona – che in essenza è la crisi di insostenibilità dei modelli
statalisti - ma dall’altro l’economia
globale è in boom e le esportazioni italiane ne stanno traendo vantaggio più di
quanto fosse previsto. Non solo. Si osserva che le nostre imprese stanno conquistando
posizioni nell’area mediterranea. Ciò fa ipotizzare che l’Italia potrà ottenere
dall’export, pompato dalla svalutazione competitiva dell’euro, e dal dominio
commerciale del Mediterraneo un livello di crescita del Pil tale da bilanciare
l’impatto deflazionistico dei tagli alla spesa pubblica ed il soffocamento
dovuto alla marcescente inefficienza del suo modello economico. In
sintesi, l’Italia appare in grado di
praticare con successo la soluzione esterna ai suoi problemi interni.
Non mi piace scrivere queste cose. La
preferenza sarebbe quella di un mercato interno capace di crescere grazie alla
configurazione liberalizzata, poche tasse e molta concorrenza, meno dipendente
dall’export. Ma è un sogno. Il sistema interno è così denso di costi, di
incompetenti che possono solo vivere con un salario pubblico e di arretratezze
da rendere molto lunga e conflittuale l’eventuale riforma di efficienza
competitiva. Pochissimi politici, inoltre, la invocano, svelando la natura del
sistema politico italiano: competono due statalismi, cioè due sinistre – come
scrisse Ricossa negli anni ‘90 – e non una sana
destra liberale contro una sinistra socialista. In breve, se vogliamo crescere
dobbiamo farlo “andando fuori”. Nemmeno mi piace invocare la svalutazione
competitiva, che comporta rischi di inflazione importata ed altri grossi problemi.
Ma cosa altro può fare da leva all’export delle nostre imprese che fanno fatica
ad essere efficienti sul piano dei costi per i pesi (fiscali, regolamentari,
sindacali, logistici, burocratici) del modello? Qualche giorno fa scrissi qui
che per bilanciare l’impatto del rigore con più crescita l’unica era quella di
svalutare di brutto l’euro. Questo sta crollando di suo in quanto moneta
ciofeca non sostenuta né da patrimonio politico né da modelli economici
nazionali efficienti (che infatti finanziano da un ventennio i loro welfare a
debito invece che con crescita) e la Bce tenta di frenarne la velocità di
caduta. Spiace invocarlo, ma lasci andare giù la moneta, tanto ormai l’euro non
potrà più essere valuta di riserva internazionale per un bel po’. Non mi piace
nemmeno sottolineare che il governo italiano sta facendo cose eccezionali, poco
note, per sostenere la penetrazione delle nostre imprese sia nel mercato
globale sia in quello mediterraneo. E non mi piace perché quando gli Stati
spingono le aziende nazionali, e combattono tra loro guerre commerciali, il
libero mercato globale sparisce. Ma tutti gli Stati sono regrediti al
mercantilismo ed i lettori devono sapere che il nostro non si sta facendo
mettere sotto da alcuno, combatte e si dota degli strumenti per essere
vincente. Per esempio, la Sace che assicura il
credito agli esportatori, si è riconfigurata diventando un supporto
straordinario per le nostre imprese più audaci, e ne abbiamo tante. L’Italia
che “va fuori” funziona, rinforziamola e questa sosterrà il resto che non
funziona dando tempo per cambiarlo. Spiace dover contrapporre questa soluzione
esterna/nazionale a quella esterna/europea, illuminata, di Mario Monti che ha
invocato l’accelerazione del mercato unico per dare più crescita alle euronazioni in difficoltà. Ma la storia regredisce e non
ammette sogni.