C’è una relazione tra voto regionale e ripresa economica
Di Carlo Pelanda (23-3-2010)
Nei  prossimi tre anni il governo, in base agli annunci programmatici, vorrà: (a)  attuare una politica economica di accelerazione della ripresa calibrata con la priorità  del rigore contabile; (b) predisporre la riforma fiscale; (c) dare concretezza,  preparando i passi preliminari, al federalismo fiscale – trasferimento di  facoltà impositive agli Enti locali -  di  cui è prevista l’applicazione nel 2016 nonché del “federalismo demaniale” –  trasferimento di parte del patrimonio pubblico nazionale ai Comuni – approvato  nel dicembre 2009. Ed armonizzare il tutto definendo un nuovo equilibrio di  bilancio che trovi il giusto mix tra denari per le garanzie erogate dallo Stato  sociale  e un livello del fisco che  favorisca la crescita lasciando più capitali per impieghi produttivi.  L’economia italiana ha assoluta necessità che queste intenzioni  si trasformino in azione compiuta, pena la  discesa di un ulteriore gradino nel livello di ricchezza. La buona notizia è  che il governo ha di fronte un triennio privo di appuntamenti elettorali di  rilievo  dove si potranno fare le riforme  più coraggiose senza che i dissensi comportino un costo/rischio politico  immediato. Quindi saranno fattibili. Quella cattiva è che la maggioranza è a  rischio di non fare un buon risultato in queste elezioni regionali perché una  parte del suo elettorato è delusa e vuole dare un segnale. Il punto: una  prestazione insoddisfacente della maggioranza nelle elezioni locali  rischierebbe di destabilizzarla e di compromettere o frenare le politiche di  interesse nazionale vitale dette sopra.
  Sto esagerando la relazione tra  elezioni regionali e ripresa economica? In Francia il centrodestra è stato  massacrato in elezioni locali per l’astensione, pare dai primi dati, della  gente che vive di mercato insoddisfatta dallo statalismo di Sarkozy nonostante  la sua iniziale piattaforma liberalizzante. Ma tale dissenso sarà  controproducente. Ora Sarkozy deve fare i conti con una sinistra così forte,  tra l’altro in vista della campagna per la sua rielezione, da certamente  impedirgli mosse liberalizzanti coraggiose. Non vorrei che questo succedesse in  Italia. Il nostro governo ha bisogno di tranquillità politica, cioè di un  Berlusconi abbastanza forte da sconsigliare i   pretendenti a tentare di anticipare la sua successione. Poiché  Berlusconi si è ingaggiato in prima persona, alla fine queste elezioni locali  saranno valutate come un referendum sulla sua tenuta. Se gli andranno male,  Tremonti non avrà la copertura politica per tagliare e ricucire il modello  economico italiano, il federalismo fiscale sarà a rischio perché percepito come  scambio tra Berlusconi e Lega, se il primo indebolito la seconda ed il suo  progetto più contrastabili. Francamente, non me la sento di rischiare una  riforma sistemica del modello che è salvifica, e che il governo vuole fare, per  il gusto di inviare al Pdl un messaggio di stanchezza. E ve lo dice un liberale  che aveva deciso di non andare a votare perché stufo di avere ministri  socialisti proprio in materia economica (i pur ottimi Tremonti, Sacconi e  Brunetta) in un governo che dovrebbe ispirarsi al liberalismo, sconcertato per l’evidente  inadeguatezza di molto personale politico del Pdl e stanco dello stesso  Berlusconi capace di raccogliere consenso, ma non di trasformarlo in azione  reale di cambiamento. Ma andrò a votare perché sarebbe irrazionale  destabilizzare un governo che finalmente potrebbe fare qualcosa di serio in  direzione liberalizzante solo per un’emozione di fastidio. Fatelo anche voi,  amici liberisti. 
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