Motivi per l’ottimismo economico
Di Carlo Pelanda (21-2-2010)
L’attesa  di una ripresa veloce nell’Eurozona ed in Italia è stata delusa dall’evidenza  di una crisi che tende a durare. Ma così come l’ottimismo fu troppo anticipato  ora il pessimismo, che sta pericolosamente frenando consumi ed investimenti, è  immotivato. Infatti, da adesso in poi, ci sono motivi realistici per  l’ottimismo.   
  In  tutte le crisi globali precedenti, in particolare quelle dei primi anni ’90 e  ’00, le economie europee sono entrate più lentamente di quelle americana ed  emergenti in recessione, ma ne sono uscite molto meno rapidamente. Ciò indica  che i modelli politici-economici (di fatto) socialisti di Francia, Germania ed  Italia tendono ad attutire gli impatti recessivi via misure di protezionismo  sociale, ma che proprio per questo rendono sia più lento lo sfogo del picco di  crisi  sia  vischiosa la ripresa. Il più liberalizzato  modello statunitense, per comparazione, ha andamenti catastrofici in fase di  caduta economica, ma si riprende a razzo e con rimbalzi molto consistenti sia  del Pil sia, mediamente dopo un biennio, dell’occupazione. Pertanto un attore  economico europeo deve calibrare le proprie valutazioni su queste  caratteristiche del modello in cui è inserito. Per inciso, ovviamente andrebbe  cambiato, ma non lo si potrà fare in poco tempo. Il punto: l’Eurozona è ancora  in fase di assorbimento dell’impatto recessivo. Lo ha attutito con ammortizzatori  che ne hanno ritardato gli effetti, ma non evitati. Questi, infatti, si  manifestano solo ora mentre l’economia americana, dove non esistono  ammortizzatori, è in vista di una ripresa accelerata (verso giugno) e quella  cinese già in surriscaldamento. Cronache economiche ed andamenti borsistici  hanno enfatizzato la  fine della crisi  globale e l’avvio della ripresa nel mondo. Per questo, semplificando, si è  verificato da noi il fenomeno comunicativo di un incanto troppo anticipato. E  anche di un disincanto immotivato. L’Eurozona segue tipicamente di quasi un  anno le tendenze nel mercato globale perché è “vagone” e non “locomotiva”, cioè  perché fa poca crescita interna a causa del soffocante modello statalista e  riesce ad aumentare il Pil solo con le esportazioni. La crisi è dovuta al  crollo della domanda globale, la ripresa sarà determinata dalla riaccensione di  questa. Il rimbalzo è un po’ lento  per i  problemi di riparazione della locomotiva americana, che a sua volta traina le  sublocomotive emergenti, pur queste più capaci di crescita propria, come Cina  ed India, e per i buchi lasciati nel ciclo del capitale dalla crisi bancaria.  Ma sta avvenendo. L’Eurozona, in particolare le esportatrici Germania ed  Italia, cominceranno a goderne  verso  fine anno. Prima se la Bce avesse la lucidità di accettare una svalutazione  competitiva dell’euro (mantenendo i tassi al minimo e comprando dollari) per  aiutare l’export e i flussi turistici.   Per gli attori economici europei ed italiani, pertanto, si tratta di tenere  duro solo per qualche mese e, soprattutto, calibrare i propri comportamenti su  una profezia ottimistica:  tornare ad  investire, riprendere a consumare, comprare immobili,  scommettere su rialzi. Sbagliano quelli che  per paura non comprano né investono. Come sbagliano i politici populisti ad  offrire sostegni assistenziali invece di produrre fiducia nel libero mercato.  Sarebbe anche il momento perfetto per ridurre le tasse tagliando spesa pubblica  inutile. Ne riparleremo chiarendo come si potrà fare in Italia pur nella  priorità del rigore. 
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