Sull’orlo della
rivolta fiscale
Di Carlo Pelanda (20-7-2010)
Il popolo produttivo
- lavoratori indipendenti che vivono di mercato competitivo, i “forti” -
non ha rappresentanza politica. Le sue ragioni mai hanno avuto rappresentanza
culturale perché sormontate quelle socialiste, solidaristiche o della destra
populista basate sull’idea di una società fatta di “deboli” che vanno tutelati
via protezioni collettive. Così la minoranza che veramente crea la ricchezza
nazionale è sottomessa all’ideologia di una maggioranza di mantenuti. Situazione
definibile come neocomunismo: il capitalismo non viene più combattuto, ma
sfruttato per rifornire le rendite parassitarie. Modello aberrante perché
incentiva i deboli a restare tali invece che spingerli a trasformarsi in forti.
Più il sistema avvantaggia il debolismo e più questo
cresce facendo aumentare le masse dei protetti e quindi le tasse per
finanziarle. Al punto che la democrazia è distorta in quanto il partito della
spesa pubblica (quasi 800 miliardi, 52% del Pil) è più numeroso di quello che
crea la ricchezza. Ora il popolo
produttivo (non dipendente) viene perfino demonizzato. Poiché mancano soldi
allo Stato, invece di ridurne i costi inutili Tremonti sta superando Visco nel
tentativo di attuare una repressione fiscale totale contro chi incassa denaro
in modi non direttamente controllabili dal fisco e quindi ha la possibilità
teorica di evadere o eludere le tasse. Galli della Loggia, sul Corsera, demonizza il popolo produttivo che evade
accusandolo di asocialità, causa di tutti i mali italiani. Finora l’oppressione
neocomunista in Italia è stata bilanciata lasciando ai produttivi un certo
margine di evasione non repressa. Questo un contratto fiscale distorto,
punitivo per i produttivi dipendenti, ma comunque contratto. Se adesso viene
rotto attraverso la repressione fiscale e la demonizzazione, allora sarà guerra, cioè la rivolta fiscale totale. Meglio
evitarla e per riuscirci ci vuole un chiarimento.
Dei 100 miliardi
evasi la gran parte – mia stima - è dovuta all’economia criminale prevalente
nel Sud (50) e ad elusioni tecniche delle aziende internazionalizzate (10). Ma
almeno 40 miliardi sono evasi dal popolo produttivo (non dipendente) del Nord.
Chi per necessità, la microimpresa o l’artigiano che se pagasse le tasse
dovrebbe chiudere, chi senza tale bisogno. Tra i secondi prevale l’evasione
parziale: il cittadino decide quanto dare allo Stato e quanto tenersi. Chi fa
così è parte di una buona, e non cattiva, società. Gente attiva, audace nel
fare impresa, ordinata e generosa nelle solidarietà private. Cosa la spinge ad
essere la migliore società ed allo stesso tempo il peggior pagatore di tasse? L’avidità,
come pensa Galli della Loggia, è una spiegazione superficiale. Il popolo
produttivo vede uno Stato che spreca i denari fiscali, un sistema partitico
parassita che li usa per bene proprio e non pubblico, senza ritorno in termini
di servizi corrispondenti al costo. Con la complicazione di tasse indirette e
tariffe abnormi oltre che dell’inefficienza del modello amministrativo. A
questo Stato andato per le sue la
risposta dei produttivi è: “noi andiamo
per le nostre”. Tale valutazione poi genera il compromesso distorto: pago
qualcosa allo Stato, ma decido io ed in cambio lo Stato chiude un occhio. Su
quel “decido io”, poi, si innesca l’avidità. Ma la causa vera è la mostruosità
parassitaria dello Stato occupato dalla partitocrazia. Questo è il bubbone da
incidere per ricostruire la possibilità di un contratto fiscale equo e
rispettato in Italia. La politica dovrebbe proporre alla buona società che
evade per i motivi detti un progetto, anche di lungo termine, di riduzione dei
carichi fiscali e dell’inefficienza del sistema. La buona società produttiva
accetterebbe di finanziarlo se fosse credibile. Ma mai si arrenderà alla
repressione che serve a mantenere il finanziamento dei pidocchi. Più la
repressione si estenderà, più l’evasione aumenterà, la rivolta fiscale sarà
totale invece che parziale. Cosa me lo fa ipotizzare e rendere avvertimento per
la politica? I giuramenti sentiti nei Tea Party ai quali sono stato invitato
come conferenziere nelle ultime settimane, in Veneto e Lombardia. Eccitato dal
vento di libertà ho giurato anch’io.