Il motore del capitalismo torna a girare…e rimette il turbo
Di Carlo Pelanda (9-3-2009)
Il  9 marzo 2009 gli indici delle Borse mondiali più rilevanti raggiunsero valori  minimi. Venerdì scorso hanno mostrato un incremento annuale attorno al 70% (la  Borsa italiana del 55%). Tale crescita non è ancora arrivata ai picchi del  recente passato. Ma la tendenza in atto è quella di arrivarci. Si tratta di una  bolla gonfiata da irresponsabili che non si accorgono dell’estrema fragilità e  lentezza della ripresa in America ed Europa, nonché degli squilibri di quella  in Cina, oppure gli investitori hanno ragione nell’anticipare una ripresa  globale robusta? 
  Al  momento sono smentite le analisi di chi dichiarò catastrofica e tomba del  capitalismo la crisi 2008-09. Le curve grafiche di recessione e ripresa hanno  andamenti non dissimili da quelle precedenti. Normali, entro il ciclo di  “recessioni brevi e crescite lunghe” che si osserva nella nuova economia a  partire dalla fine degli anni ’70. In particolare, nonostante gli appelli a  riformare il capitalismo, questo si sta riprendendo esattamente come era prima  della crisi. Significa che il capitalismo finanziarizzato non è un aberrazione,  ma un prodotto evoluzionistico del mercato che resiste alla selezione,  evidentemente, perché ha dei punti di forza e fornisce più benefici che danni  alla maggioranza degli attori economici. Alcuni osservano che si potrebbe  trattare solo di inerzia di un modello sbagliato. E per questo insistono nel  pretendere amputazioni della libertà economica, definanziarizzazioni e più  dirigismo politico per evitare la catastrofe finale. Ma  perdono di vista il dato reale di fondo: il  sistema capitalistico ha tenuto e tiene. Ma terrà veramente come anticipano le  Borse? I timori di ricaduta in recessione in America dopo la fine delle  stimolazioni economiche e monetarie (in autunno) sono tecnicamente razionali. La  ripresa dell’Eurozona, ancora alle prese con l’impatto recessivo e ostacolata  da modelli statalisti vischiosi, sarà lenta e poca. Lo squilibrio debitorio degli  Stati è un pericolo innegabile. Come lo è la fragilità di un sistema bancario  che non ha ancora riparato i propri bilanci  devastati dalla crisi finanziaria specifica. Ma le Borse valutano che questi  fattori di possibile nuova crisi siano meno potenti di quelli che portano verso  la riparazione e la crescita del sistema. Sbagliano o ci vedono giusto? Vedono  che il capitalismo in grave crisi tecnica ha mantenuto la propria ideologia in  maggioranza nel pianeta, cioè che milioni di operatori e miliardi di attori  economici trovano beneficio nel ciclo del capitalismo finanziarizzato globale.  Tale fenomeno genera la continuità del modello. E, di conseguenza, muove verso  l’orizzonte ottimistico  una massa di  capitali che tende a far superare i problemi di sostenibilità e fattibilità  dell’economia tecnica. La profezia si autorealizza perché mobilizza soldi  concreti per ottenerne di più. Dovremmo discutere più a fondo sul motore  ideologico che spinge l’economia, ma qui va segnalato - la notizia - che quello  capitalistico sta girando a pieni giri e che per questo è più probabile che la  crescita tornerà robusta, pur in altalena con brevi ricadute. Tale segnalazione  porta ad  un’altra: lo scenario potrebbe  essere rovinato dalla politica populista che, privilegiando risposte  alla minoranza pessimista e in ansia del  mercato, tende ad inceppare con eccessi assistenziali e regolativi il motore  ideologico e tecnico della creazione di ricchezza. Quindi alla politica  va raccomandato con forza di sostenere la  fiducia nel capitalismo, smettendo di demonizzarlo. Anche perché solo così  salverà se stessa.    
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