Il difficile
equilibrio tra i requisiti del rigore e della crescita
Di Carlo Pelanda (18-5-2010)
Gli eurogoverni stanno cercando un equilibrio tra i requisiti
del rigore e della crescita, ambedue prioritari per ripristinare la fiducia del
mercato sull’euro. A quali condizioni potranno riuscirci?
Il requisito del
rigore è diventato più stringente perché il caso greco ha creato dubbi sulla
capacità delle euronazioni di ripagare il loro debito
pubblico. Non solo al riguardo dell’economia greca, debole e disordinata, ma
anche di quelle di Spagna e Portogallo, deboli (poca base industriale e
produttività) seppur abbastanza ordinate. Il dubbio, poi include l’economia
forte, ma disordinata (per eccesso di debito) dell’Italia. E lambisce le
economie sia forti sia ordinate di Francia e Germania perché non così forti –
per livello di crescita - da sostenere i costi elevati dei loro sistemi di
welfare. Questa novità, cioè il crollo del mito della sostenibilità del modello
di “economia sociale di mercato”, in realtà semisocialista, adottato in Francia,
Germania ed Italia, con picchi di statalismo lirico in Spagna e Grecia, ha
cambiato il criterio del rigore ritenuto sufficiente fino a poche settimane fa:
non potrà avere la tolleranza del 3% di deficit annuo in relazione al Pil, ma
dovrà tendere al pareggio di bilancio, cioè al “deficit zero”. Il mercato vede
che le euronazioni hanno debiti in aumento e crescita
stagnante e, per prima cosa, pretende che il debito almeno non cresca per
mantenere la fiducia sull’euro. Ciò mette sotto pressione i governi che sono
costretti a tagliare spesa pubblica in misura maggiore e tempi più brevi di
quelli previsti fino a poco fa. Ma una riduzione forte e subitanea della spesa
pubblica, pur salvifica nel lungo termine, induce una deflazione pesante nel
breve. In sintesi, se vogliono rispettare i nuovi standard di rigore, i governi
dovranno accettare di mandare in recessione le loro economie. Ovviamente ciò è
inaccettabile perché implica impoverimenti sostanziali portatori di conflitti
destabilizzanti. Quindi i governi dovranno, mentre deflazionano via tagli alla
spesa, pompare più crescita del Pil in qualche modo. Ma la priorità del rigore
rende difficile o pospone la detassazione stimolativa (come già deciso in
Germania) che è la leva più forte e sistemica per dare impulso alla crescita o
impone perfino l’aumento delle tasse (annunciato in Francia). Altre misure non
fiscali, per esempio quelle di facilitazione per la ricapitalizzazione delle
imprese (Fondo del Tesoro, ecc.) accelerate da Tremonti in Italia sono
certamente utili, ma non compensano il gap di crescita. Senza il bilanciamento
di più crescita, il rigore non potrà essere applicato in pieno perché
provocherebbe, appunto, rivolte sociali. Questo problema non ha soluzioni
normali negli incancreniti modelli di welfare dell’Eurozona. Ne ha di lungo
termine come riforma sostanziale di tali modelli in direzione di meno costi ed
assistenzialismo e più efficienza. Ma serve qualcosa subito. E l’unica cosa,
nelle condizioni dette, che può stimolare più crescita per bilanciare la
deflazione imposta dal rigore è la svalutazione competitiva dell’euro per
aumentare l’export. Di fatto sta avvenendo e dovrebbe durare almeno un
triennio. Ma anche l’America sta usando la svalutazione del dollaro per
alimentare la ripresa e certamente non vorrà perdere questa leva a causa di un
euro più competitivo (uno dei motivi delle telefonate “imperiali” di Obama a Merkel durante il picco
di crisi dell’euro). In conclusione, la combinazione tra rigore e crescita sarà
possibile solo svalutando l’euro per un po’, ma ciò richiede un accordo
euro-dollaro per evitare la guerra al ribasso tra i due con rischio di
destabilizzazione dell’intero mercato globale.