La questione del Fondo europeo è geopolitica e non economica
Di Carlo Pelanda (16-3-2010)
Questa  settimana gli eurogoverni, oltre che rifinire il meccanismo “informale” di  sostegno finanziario alla Grecia, dovranno anche iniziare a prendere posizione  sulla proposta di istituzione di un Fondo monetario europeo fortemente  sostenuta dal governo tedesco, in particolare dal suo Ministro delle Finanze,  Wolfang Schauble. L’idea è che il Fondo svolga una missione di prestatore di  ultima istanza per Paesi in condizioni di insolvenza, una sorta di protezione  civile economica  dell’Eurozona, ora  inesistente. Il tema è caldo. Gli economisti si dividono tra contrari – perché  un salvatore incentiverebbe il disordine  contabile nelle euronazioni, anche posizione della Bundesbank – e favorevoli,  ma con una prevalenza dei primi. Molti, poi, si chiedono che senso abbia creare  un doppione del Fondo monetario internazionale. Altri commenti invocano  l’accelerazione  di un governo ordinario  integrato dell’euroeconomia e non vedono la necessità di un Fondo  straordinario. Francia e Bce sono contrarie al progetto, pur con diplomazia,  perché temono che il Fondo faccia loro perdere influenza. Ma, nonostante la  prevalenza del dissenso,  Schauble  insiste. Perché? 
  E’  l’ultimo dei grandi politici in attività che hanno guidato la Germania  post-bellica verso la riunificazione e, soprattutto, perseguito una soluzione  bilanciata al problema di come collocare un sistema tedesco riunificato, di  potenza superiore agli altri, entro l’Europa. Helmut Kohl, nei primi anni ’90,  cambiò alla pari il marco occidentale con quello orientale (valore zero) per  facilitare la riunificazione, la Bundesbank contro per l’antieconomicità della  misura. Ma Kohl fece capire che quella era politica e non economia, la seconda  al servizio della prima. Con la stessa logica cercò la soluzione per chiudere  la secolare “questione tedesca”: europeizzare la Germania costringendola a  rinunciare al suo strumento di potenza, il marco. Nel 1993 disse ad Andreatta,  io testimone, che bisognava farlo prima che arrivasse al potere la nuova  generazione di politici post-bellici meno favorevoli all’integrazione europea.  Per inciso, mi venne un colpo perché, facendo per mestiere scenari strategici,  vedevo che l’euro sarebbe stato di fatto una germanizzazione dell’Europa,  incubo economico per i modelli nazionali diversi dalla Germania. Comunque  Berlino fu ingabbiata al prezzo di accettare la sua influenza. Questo è ora  “l’ordine europeo”, l’euro una moneta per scopi politici. Schauble vuole  evitare che si dissolva perché ciò significherebbe la rinascita della questione  tedesca con conseguenze devastanti. Ha ragione. Teme, probabilmente,  che le forze nazionalistiche tedesche, sempre  più influenti, potrebbero usare le crisi dei Paesi deboli come scusa per chiedere  l’uscita da un euro destabilizzato dal disordine altrui, cioè il ritorno al  marco e ad una politica di potenza singola. Per questo propone uno strumento  che permetta salvataggi fatti bene e sul serio, con un giusto mix di rigore e  rispetto delle situazioni nazionali, nonché le prevenzioni. Credibili eurostrumenti  del genere non esistono. Il governo integrato dell’economia europea è lontano,  la Commissione inefficace, Il Fmi, tecnicamente adeguato, non lo è  politicamente per intervenire nel delicato eurosistema. Per questo ci vuole un  Fondo Europeo e non hanno senso critiche tecniche normali: si tratta di  geopolitica e non di economia, con la missione di difendere la soluzione  bilanciata alla questione tedesca. Per questo Roma deve aiutare Berlino a  convincere Parigi.