L’euroaccordo impedirà la detassazione
Di Carlo Pelanda (11-5-2010)
L’accordo che ha
salvato l’euro si basa su tre pilastri: (a) disponibilità della Bce a comprare titoli
di eurodebito ad alto rischio; (b) creazione di una riserva
per tamponare emergenze finanziarie nell’eurosistema;
(c) imposizione di un più stretto ordine contabile agli Stati. Il primo è il
motivo principale per cui il mercato ha ridato fiducia all’euro. Il secondo
rafforza l’effetto del primo. Ma sarà la credibilità del terzo a determinare la
tenuta dell’Eurozona nel tempo. Per ottenerla, tutte le euronazioni
saranno chiamate a forzi straordinari per disciplinare i loro bilanci. In
generale, ciò pone l’interrogativo sia di come faranno le economie deboli a tagliare spesa
senza suscitare rivolte sia come faranno crescita, senza la quale il rigore è
insufficiente, mentre deflazionano i loro sistemi economici. Probabilmente, in
cambio di più ordine contabile degli Stati, la Bce svaluterà parzialmente
l’euro per dare a questi una leva di crescita via competitività del cambio.
Vedremo, la cosa ancora incerta. Ma è certo che l’Italia sarà chiamata ad uno
sforzo fino a pochi giorni fa imprevisto per allinearsi ai nuovi standard di
rigore. Quindi la conseguenza dell’euroaccordo sarà
quella di rinviare il taglio delle tasse promesso, pur vagamente, dal governo. E’
veramente inevitabile?
Merkel ha annunciato che in Germania nei prossimi due anni
non vi sarà alcuna riduzione delle tasse. Tremonti ha già annunciato una “manovra”
di 25 miliardi nel prossimo biennio per ridurre il deficit di bilancio. Se si
considera che l’Italia è il quinto Paese
a rischio di non reggere l’euro dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna,
probabilmente la manovra correttiva imposta dai nuovi standard europei potrebbe
essere di maggiore entità. In tale scenario non solo non vi sarà spazio per
detassazioni, ma ci sarà anche il rischio di un aumento delle tasse per non
diventare cause di infezione dell’euro. E dovremo perfino essere grati al
governo se non lo farà o lo ridurrà al minimo. Ma così resteremo in
stagnazione, l’avvio del federalismo fiscale posposto, diluito e comunque non
portatore di meno tasse. Dobbiamo arrenderci a tale scenario deprimente dettato
dal “criterio esterno” e dalla priorità del rigore? Secondo me c’è la
possibilità tecnica di tendere verso il deficit annuo zero, abbattere in parte
– dal 5 al 10% - il debito pubblico ed allo stesso tempo trovare spazio di
bilancio per avviare la riduzione delle tasse e così aumentare la crescita.
Come? La spesa sanitaria può essere ridotta di almeno un 20% senza deteriorare
il servizio medico in quanto è luogo di sprechi immensi mai aggrediti da una
volontà di efficienza. Altri risparmi, enormi, potranno essere ottenuti
abolendo situazioni assistenziali di privilegio. Una parte del debito potrà
essere abbattuta vendendo valori e patrimonio dello Stato nonché attivando un
prelievo una tantum, “tassa buona” perché, piccola per ciascuno, ci
permetterebbe di recuperare annualmente un buon risparmio sulla spesa per
interessi da destinare a detassazione. Un investimento. In sintesi, se c’è da
ballare, balliamo sul serio: rigore massimo, ma che porti anche a meno tasse
incidendo il corpo dei costi pubblici inutili rigonfiato a dismisura da decenni
di mancati controlli e riforme di efficienza. Ma prevedo che la politica,
spaventata dai dissensi che tali azioni comporterebbero, non le farà e le dichiarerà
infattibili, enfatizzando l’emergenza europea che blocca tutto. Almeno si sappia
che, in realtà, sono possibili.