Bisogna dotare la Ue di funzioni d’emergenza
Di  Carlo Pelanda (2-3-2010)
  
  Il  primo euronodo sta arrivando al pettine. Tra pochi giorni  la Grecia dovrà rifinanziare il proprio  debito per 20 miliardi di euro e c’è il rischio che il mercato non voglia  comprare i titoli, o che pretenda un premio insostenibile, vista la condizione  prossima all’insolvenza di Atene. Se si avverasse sarebbe un segnale che la Ue  non ha la capacità di garantire il debito greco. Ciò scatenerebbe un’ondata di  sfiducia sulla ripagabilità dei debiti delle euronazioni con economia a  crescita debole e deficit elevati. L’ondata, inoltre, travolgerebbe le banche  che possiedono in portafoglio titoli di eurodebito sovrano, quelle tedesche le  più esposte. L’effetto catena aggredirebbe la credibilità dell’euro,  aumentandone il rischio percepito di dissoluzione, estendendo la  destabilizzazione al sistema globale. Per evitarla, gli eurogoverni  dovranno comprare, in qualche modo, i titoli  greci sostituendosi al mercato. Ci riusciranno?
  Il problema è nato proprio dall’inesistenza  nella Ue di sistemi e procedure istituzionalizzate per la gestione di emergenze  finanziarie. Se ci fosse stato un Fondo monetario europeo  già predisposto per tamponare crisi  finanziarie, il reperire 20 miliardi per una nazione inguaiata sarebbe stata  una routine. Ma non c’è. Fatto incomprensibile, per inciso, in quanto  l’architettura politica ancora incompleta della moneta unica mette insieme  economie forti e deboli, senza un meccanismo di compensazione/bilanciamento,  che espone le seconde ad effetti depressivi costanti che poi le rendono  massimamente vulnerabili alle  periodiche  crisi recessive. Non si è pensato a tali emergenze e ora gli eurogoverni devono  inventare qualcosa da zero. Con tre complicazioni. I trattati impediscono  prestiti tra Stati e l’acquisto da parte della Bce di titoli di eurodebito. Non  c’è consenso nelle nazioni forti, soprattutto in Germania, per salvataggi di  quelle deboli a carico dei loro bilanci già stressati. Poiché non c’è un  governo integrato dell’economia nell’Eurozona bisogna  mantenere la pur inefficace dottrina che ogni  Stato debba arrangiarsi da solo per tenere in ordine la propria finanza  pubblica. Cosa potranno fare in queste condizioni? Solo aggirare i vincoli  appena detti mettendo in campo gli equivalenti della nostra Cassa depositi  & prestiti in Germania, Francia, Italia, ecc., cioè del denaro a gestione  di fatto governativa, ma fuori bilancio pubblico, per tirare fuori – o  garantire le banche private che faranno l’operazione - i 20 miliardi utili a  comprare i titoli greci che altrimenti il mercato non acquisterebbe. Così sta  avvenendo, in silenzio, e molto probabilmente riuscirà. Ciò darà qualche mese  di respiro. Molti osservatori stanno raccomandando di usare questo tempo per  riformare l’architettura sbagliata dell’Eurozona.  Ma poiché ci vorranno anni qui mi permetto di  segnalare, per realismo, che prima di queste la priorità è di congelare i  focolai d’emergenza, con tre azioni: (a) creare un Fondo monetario europeo,  collegato al Fmi, che dimostri capacità di stabilizzazione delle nazioni più  nei guai; (b) caricato anche della missione di non strangolare via rigore  insostenibile le popolazioni per evitarne la rivolta antieuropea; (c)  trasferire parte del debito delle euronazioni, garantito da una fetta  equivalente del loro patrimonio, in un contenitore unico  europeo in modo da ridurre il peso dei debiti  nazionali. O cosa simile. Attenzione: solo dopo questo consolidamento del  sistema che non funziona potremo e dovremo fare un Maastricht 2 per cambiarlo.          
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