I baroni rossi di Mussi

 

Di Carlo Pelanda (5-5-2007)

 

Spiace usare parole dure contro Mussi perché è uno dei pochissimi che ci crede invece di solo intrallazzare. Ma crede nel comunismo. Fede che lo porta ad usare il burocratismo per risanare il sistema università-ricerca e lo rende sospettabile di perseguire la strategia di egemonia culturale. Per questo invito l’opposizione a vigilare.  

Mussi ha appena firmato una proposta di legge finalizzata ad eliminare l’opacità nei concorsi. Da un lato, gli va riconosciuta la volontà di sanare lo scandalo che ha dequalificato il sistema. Dall’altro, potrebbe trasformare il disastro in una catastrofe. La sua legge istituisce dei comitati segreti per assicurare l’oggettività della selezione in base a criteri standardizzati. Vedrete i dettagli nelle cronache. Qui sottolineo, per l’opposizione, due punti da approfondire. La valutazione anonima ed oggettiva si limita ai curricula dei candidati, poi la scelta vera e propria resta nelle mani delle università che hanno indetto il concorso. Tale strana procedura forse ridurrà il numero di parenti cooptabili con pochi titoli scientifici, ma non inciderà certo sulla capacità delle consorterie di facilitare carriere con meriti di fedeltà, spesso politica, più che di capacità, questo lo scandalo più diffuso. Probabilmente Mussi non vuole toccare le baronie universitarie perché al 90% sono rosse e cerca solo di limare la componente familistica dello scandalo stesso. Il comitato segreto è una proposta che nel nostro sistema appare piuttosto inquietante. Se lo nomina una struttura politica chi ne garantisce la serietà vista la densità di comunisti e sindacalisti che si sono insediati, e blindati, sia nelle università sia nel ministero? Notate l’illuminismo mussiano: per dare trasparenza si rende segreta la fonte di luce, comunque rossa. Abbiamo altre soluzioni? Certo, ma tutte implicano la destatalizzazione della carriera universitaria. In America i dipartimenti universitari assumono chi vogliono in base ad un esame della qualità del candidato in relazione alla competitività del dipartimento stesso. E fanno scelte buone perché gli studenti pagano, le università sono in concorrenza tra loro e nessuna può permettersi di assumere docenti e ricercatori scarsi perché la punizione sarebbe immediata e pesante. Per questo la trasparenza e la qualità va cercata abolendo il valore legale dei titoli di studio – fatto che trasforma le università in burocrazie statali – e rendendo ogni sede universitaria responsabile delle proprie scelte. Il punto è far pagare gli studenti, dotando i più poveri della capacità via prestiti retrogarantiti dallo Stato, e rendere più dipendenti le università da finanziamenti di ricerca guadagnati per merito e non per diritto in modo che la selezione concorrenziale possa ottenere l’effetto di qualificazione. Ma lo statalista Mussi non ammette per lirismo ideologico nemmeno di studiare il come applicare in Italia questa migliore soluzione, riproponendo formule di burocratismo ridicolo e sospettabile. Infine, caro Mussi, voi comunisti avete occupato le università per politicizzarle e la riterrò credibile solo quando confesserà questo crimine contro la libertà intellettuale e scientifica. Che mi costrinse a migrare in un’università americana perché non volli vendere l’anima ad un barone rosso.

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