La prova dei fatti
(Il giusto mix)
Di Carlo Pelanda (17-6-2004)
Guardiamo avanti. Ora la Casa delle libertà ha la missione prioritaria di meglio armonizzare i differenti interessi che contiene. Con due scopi: (a) ricreare la coesione, indebolitasi dal 2003, per realizzare nei prossimi due anni il contratto elettorale vincente siglato nel 2001; (b) predisporre una sua evoluzione per le politiche del 2006 che rinnovi la vittoria. Per raggiungere tali obiettivi bisogna trovare un “giusto mix” tra solidarietà ed efficienza nella formula dell’offerta politica. Vediamo perché.
Le tre questioni aperte all’interno della Casa – fiscale,
meridionale e settentrionale – non trovano composizione perché manca un modello
di riforma che sappia armonizzare garanzie
di livello nazionale, sviluppo ed autonomie locali. Tale problema fu risolto
solo parzialmente nel 2001. Forza Italia rappresentava gli interessi di
sviluppo, AN ed UDC quelli di garanzia e la Lega l’autonomismo. In sede di
laboratorio programmatico - l’Officina
- i partiti generarono un intelligente compromesso tra tali
interessi, ma non una sintesi. E ciò lasciò vulnerabile la Casa e l’attivismo
riformatore Berlusconi alla prova dei fatti. Per esempio, la riduzione delle
tasse e l’autonomismo delle regioni ricche vennero visti come pericolo per le
garanzie. Percezione che scatenò un conflitto tra i diversi interessi. Che non
esplose mai come frammentazione del condominio, ma impedì al partito dello
sviluppo ed al suo leader di realizzare in pieno il programma. Tale punto di blocco fu colto bene da
Ferdinando Adornato che tentò, all’inizio del 2003, di proporre una seconda
“Officina” (Convegno di Todi) capace di generare una comunanza più solida tra i
diversi partiti. Ferdinando, pur da applauso la sua iniziativa, puntò ad una
convergenza delle identità che fu percepita troppo snaturante dai singoli
partiti. E questo è servito a capire che non possiamo cercare la coesione con
un approccio troppo idealistico anche se è corretta l’intuizione che non basta
l’avversione contro la sinistra per fare coalizione. Quindi l’unica soluzione è
quella di proseguire sulla strada di un compromesso pragmatico che trovi un
modello di Stato capace di rendere compatibili: meno tasse, il mantenimento
delle garanzie essenziali, un regime speciale di aiuto al Sud e l’autonomismo
locale. Ma, diversamente dalla prima Officina, questa volta puntando
decisamente ad una sintesi tra i diversi interessi. E ad organizzarli in un
modello che trovi consenso nella maggioranza degli italiani. Sarà possibile un
tale doppio “giusto mix”? Certamente lo è, ma va dimostrato fornendo una
soluzione al massimo problema di fondo che mette sotto stress qualsiasi offerta
politica riformatrice. In tutte le democrazie sviluppate la maggior parte della
popolazione vuole godere dei vantaggi del mercato, ma senza pagarne i prezzi di
fatica e di incertezza (ampia bibliografia). In America tale fenomeno è
limitato da una cultura diffusa che fa prevalere, anche nella sinistra, la
responsabilità dell’individuo nel provvedere alla propria ricchezza. Ciò, pur
non perfetto, permette un modello politico-istituzionale dove appaiono ben
bilanciati i requisiti di libertà utili allo sviluppo e la tutela dei deboli,
con il plus di un sistema che li vuole trasformare in forti e non lasciarli
bisognosi. Ma in Europa (continentale) si è affermato un modello di Stato che
tradizionalmente fornisce garanzie anche a chi non ne ha bisogno e che ha
finanziato l’illusione sociale detta sopra, consolidandola. Con quali risorse,
visto il cattivo mix tra sviluppo e garanzie a scapito del primo? Con quelle
dell’assistenzialismo strategico e dell’indebitamento. Dal 1946 al 1989 gli americani lasciarono agli
europei il privilegio di proteggere i loro mercati e di esportare liberamente
nel loro con lo scopo di rafforzare il consenso pro-occidentale. Così ogni anno
qualcosa come l’1% del Pil statunitense venne regalato allo statalismo europeo
che, per questo, non mostrò subito i suoi difetti genetici. E quando emersero,
già dagli anni ’70, furono nascosti dall’indebitamento. Dal 1999 al 2002 dalla
svalutazione dell’euro. Questo cenno storico serve ad inquadrare la “forchetta”
della strategia riformista: bisogna tener conto che l’illusione della gente
sarà dura a morire, ma che finito
l’assistenzialismo strategico il modello statalista non è più sostenibile. In
sintesi, è necessario ribilanciare efficienza e solidarietà a favore della
prima, ma trovando un modo che non faccia percepire ai cittadini un vuoto
improvviso della seconda. In caso contrario voterebbero a sinistra che,
furbamente e scelleratamente, offre la continuazione dell’illusione. Come
riuscirci? Evidentemente generando delle “garanzie di transizione”. Riduco le
tasse per ottenere più sviluppo e lavoro, ma se mentre lo faccio ti capita
qualcosa allora hai diritto ad un aiuto speciale. Il Sud lo svilupperò, ma fino
a quando non ci riuscirò resterà un regime speciale di assistenza. Le regioni
che vogliono piena autonomia la avranno, ma sarà caricata di sovranità fiscale
locale solo quando le condizioni nazionali lo permetteranno. In conclusione, la
parola chiave per armonizzare interessi liberisti, garantisti ed autonomisti è:
“garanzie di transizione” e gradualità. Se si inserirà questo concetto dinamico
ed evolutivo nel nuovo accordo entro la Casa, allora potrà diventare coesa
nell’impegno di cambiare le cose senza lasciare qualcuno indietro. E
vincente.