Il problema di accesso al credito delle piccole imprese è risolvibile solo rendendole più grandi


Di Carlo Pelanda (5-8-2014)


Nel piccole imprese italiane sofferenti per la restrizione del credito c’è molta speranza di: (a) ottenere finanziamenti non-bancari attraverso le nuove facilitazioni per l’emissione di obbligazioni; (b) e di aumentare il credito bancario grazie al programma Tltro della Bce, in avvio a settembre, finalizzato a prestare alle banche soldi a basso costo alla condizione che vengano impiegati per finanziare le aziende. E’ una speranza fondata? Nel mercato secondario delle obbligazioni societarie, In America ed in Europa, si sta riducendo il numero di soggetti che acquistano tali prodotti finanziari. Il fenomeno, semplificando, è dovuto al fatto che le piattaforme dove si scambiano tali obbligazioni non sono regolamentate e gli attori di mercato che tipicamente le trattano sono soggetti a regole, emesse dalle autorità di vigilanza finanziaria, che penalizzano le operazioni non regolamentate. In sintesi, se vuoi vendere un’obbligazione di questo tipo è difficile trovare qualcuno che te la compri. Tale problema di illiquidità nasce da un errore di architettura: si è regolato troppo da una parte e niente dall’altra, creando un trombo nel ciclo del capitale che disincentiva in particolar modo acquisti e vendite di obbligazioni societarie non quotate. Probabilmente la soluzione sarà quella di portare gli scambi di obbligazioni societarie su piattaforme regolamentate, Borse titoli, ad alta trasparenza e di rendere quotabili tali obbligazioni. Ma richiederà tempo. Nel mercato italiano che sta iniziando a sperimentare, via nuovi fondi di credito/debito, il finanziamento non bancario via obbligazioni sarà difficile che tale strumento possa diventare una soluzione sistemica a meno che non si crei un compratore istituzionale/assistenziale che non abbia bisogno di rivendere sul mercato secondario tali prodotti. Con la complicazione che le piccole imprese possono fare solo emissioni di piccolo taglio (minibond) troppo penalizzate dai costi di eventuale quotazione. In alcuni casi procedure sofisticate di cartolarizzazione potrebbero aiutare, ma il numero di finanziamenti micro-obbligazionari resterebbe comunque minimo. Pertanto la facilitazione dei minibond non sostiene la speranza che questi contribuiscano veramente alla soluzione del problema, almeno nel breve-medio termine. Attenzione. Tale analisi porta a concentrare di più la speranza sul sistema tradizionale del credito bancario. Ma le banche difficilmente impiegheranno i soldi Bce per piccole aziende con bilanci incerti e ad alto rischio, anche perché vincolate da norme rigide per l’erogazione. Li impiegheranno per (ri)finanziare le grandi imprese meno rischiose e ciò aiuterà, ma non sarà una soluzione sistemica in un’Italia fatta di piccole imprese. Lo potrebbero essere un ripristino del credito discrezionale a livello di piccole banche di territorio e l’incremento del fondo statale di garanzia per garantire l’accesso al credito dei piccoli. Ma sarebbero assistenzialismi atipici e insufficienti. Bisogna cambiare visione. Un’azienda di medie e grandi dimensioni non avrà problemi di accesso al credito bancario e non ed a prestiti convertibili in azioni, mentre la piccola azienda li avrà sempre. Quindi è razionale aggregare le piccole per creare unità più grandi piuttosto che forzare il sistema finanziario a dare soldi alle piccole stesse, cosa che non può fare e che è inutile forzare. Per questo la rubrica raccomanda l’apertura di un programma di aiuti alle piccole imprese non per mantenerle come sono, ma per permettere loro di ingrandirsi.

Carlo Pelanda