L’interesse nazionale impone più Mediterraneo ed America e meno Europa

 

Di Carlo Pelanda (28-6-2011)

 

L’impero americano è in ritirata; l’Europa è frammentata nonché destinata a diventare un 4° Reich se si ricomporrà; il Mediterraneo è in una situazione di disordine che promette di restare endemica. La politica estera italiana ha due enormi problemi: (a) le due aree viciniori, Europa e Mediterraneo, sono troppo instabili o ostili; (b) stanno venendo meno le alleanze su cui Roma aveva puntato per moltiplicare la propria potenza e grazie a questo ottenere vantaggi geoeconomici. Per la prima volta dal 1949 (adesione alla Nato) e dal 1957 (istituzione della Comunità europea) Roma dovrà modificare la propria strategia esterna. Difficilissimo. Ma il non tentare innovazioni porterebbe l’Italia ad una collocazione internazionale depotenziata che poi ne ridurrebbe la ricchezza,  questa  generata più dall’export che dal mercato interno, con la complicazione della dipendenza energetica esterna. Roma è nei guai e per uscirne deve avere una buona idea. Per stimolarla la rubrica chiama un concorso di proposte da far convergere verso Pialuisa Bianco, instancabile animatrice del think tank (allargato) della Farnesina.  

In politica estera non si può inventare da zero. L’interesse nazionale italiano resta sempre quello di avere accessi sicuri ai mercati sia mediterraneo sia europeo. L’innovazione potrebbe essere quella di una strategia che porti l’Italia ad essere in posizione rilevante in ambedue le aree, utilizzando la centralità nel Mediterraneo come leva per negoziare con Berlino. In particolare, la Germania ha la priorità geoeconomica di dominare l’Est europeo e l’Asia centrale in accordo con Mosca, non vuole ingaggiarsi nel Mediterraneo, ma teme il contagio della sua instabilità. L’Italia potrebbe farsi garante della stabilizzazione a sud in cambio di euroregole meno soffocanti, salvaguardando così la sua indipendenza entro lo Spazio economico tedesco (ex Ue). Per l’Italia il fuoco dell’azione non è l’Europa, ma il Mediterraneo. Parigi, con la fesseria libica, ha perso la possibilità di essere honest  broker nell’area, cioè  di poter parlare con tutti ottenendone la fiducia. L’Italia può farlo. E dovrebbe usare tale opportunità per proporre un modello di stabilizzazione non più basato su una potenza ordinatrice, ma sulla convergenza di tutte le nazioni costiere verso la costruzione di un mercato mediterraneo ad integrazione crescente, con metodo pragmatico (funzionalista). Roma non deve cambiare la propria politica nella Nato e nella Ue e deve fingere che esistano ancora. Ma dovrebbe fare un accordo di alleanza bilaterale fortissima con l’America come nuovo strumento di moltiplicazione di potenza.

Carlo Pelanda