La robotizzazione
delle fabbriche è la chiave per reindustrializzare
l’Italia
Di Carlo Pelanda (27-4-2010)
Con questo la
rubrica inaugura una serie di scenari stimolativi per celebrare il 150°
dell’unità d’Italia (marzo 2011) con spirito futurizzante.
Il primo è dedicato alla massima priorità: come salvare e rilanciare il sistema
manifatturiero che è il motore principale della ricchezza nazionale, depresso
da un modello politico/economico socialista e sempre più sfidato dalla
competizione globale, a rischio di deindustrializzazione.
Rischio grave perché faremmo fatica a
mantenere la ricchezza attuale
trasformandoci in nazione mercantile e di brokeraggio finanziario. Sarebbe
ostacolato da altri con più tradizione o potenza o segreto bancario. La vocazione
turistica non basterebbe. L’Italia è costretta a restare potenza industriale
perché non ha alternative. Come? La riforma per migliorare la competitività
delle imprese sui costi è necessaria, ma insufficiente. Bisogna trovare un
vantaggio competitivo assoluto, inevitabile il cercarlo nella tecnologia. L’idea
è quella di trasformare le fabbriche italiane in sistemi iper-robotizzati
in modo da portare la produttività e la competitività per qualità/prezzo alle
stelle pur in condizioni sfavorevoli di cambio e di costi sistemici e del
lavoro. Realistico? La capacità italiana residente di creare sistemi di automazione
altamente adattativi è al terzo posto nel mondo dopo Giappone e Germania. Con
uno sforzo non impossibile potrà fornire nuovi robot di processo/produzione alle
manifatture. Sul piano dei prodotti, le medie imprese dovranno puntare a
diventare “prime” globali imitando la strategia di Finmeccanica: scegliere nel
settore dei grandi sistemi quelli meno densi di offerta innovativa e produrla,
così diventando “grandi” in nicchie specifiche. Non c’erano buoni trasporti
militari tattici, Alenia ha creato il C27-J (Spartan)
ora considerato top nel mondo, così l’addestratore Marchetti
M-346. Poi usare il primato di nicchia per reggere la vocazione a diventare
integratore di sistema, cioè “prime” in generale. Per le piccole aziende
esportatrici la ultracompetitività richiede di inserire in ogni prodotto una
adattabilità/personalizzazione per il cliente più alta dei concorrenti. Lo si chiami
“Italian click”, qualcosa di speciale, nel lusso come
nelle confezioni di cibo, nei componenti, ecc. Un plus di prodotto permesso,
appunto, da una robotica di processo evoluta, superiore a qualsiasi altro
competitore. La possibilità c’è già nella nostra tradizione industriale, basta che
l’idea giri e che i fondi di investimento la alimentino di capitale. Per
ottenerlo la rubrica chiama approfondimenti dell’idea, complicità creative e tanto ottimismo.
Carlo Pelanda