La discontinuità non è nel capitalismo ma nell’architettura politica globale
Di Carlo Pelanda (11-8-2009)
Questa rubrica ha sostenuto fin dal 2007 che la crisi finanziaria non avrebbe ecceduto le capacità del sistema di gestirla. Così è stato. Nell’autunno del 2008 indicò nell’estate del 2009 l’inversione della recessione globale. Così è. All’inizio del 2009, indicò nel “principio di continuità” (inerzia) il criterio con il quale il sistema avrebbe reagito alla crisi: il capitalismo si sta ristabilizzando replicando se stesso. Infatti. Possiamo allora prevedere linearmente che il mercato globale riprenderà il trend storico di crescita, dopo un biennio di pausa, perché la continuità prevale sulle discontinuità? No, c’è una megadiscontinuità non causata dalla crisi, ma accentuata da questa.
Dal 1945 al
2008 il mercato mondiale è stato retto dalla locomotiva americana. Tutte le
economie del pianeta si sono adattate generando modelli di crescita trainata
più dall’export che dal mercato interno. Già alla fine degli anni ’90 il
mercato statunitense risultò troppo piccolo per reggere tutto. Ma per dieci
anni il ricorso al debito ed il finanziamento di questo da parte degli
esportatori ha mantenuto in corsa la locomotiva, fino a portarla fuori giri,
cioè a regimi superiori alla tolleranza strutturale. Il sistema statunitense ha
ceduto per un incidente di insolvenza settoriale (mutui e catene derivate), ma
avrebbe potuto saltare in parecchi altri snodi. L’America si riprenderà, ma
senza più le capacità di traino globale precedenti. Pertanto l’economia mondiale
è senza centro e traino. Le nazioni dovranno cambiare il modello basandolo su
più crescita interna e meno export.
Carlo Pelanda