Declina
minga, declina no: esageruma nen
(2)
Di
Carlo Pelanda (28-2-2006)
Qualcosa
non va nello scenario di “declino dell’Italia” che prevale sulla stampa di
sinistra e parte di quella estera. I dati aggregati
confermano la tendenza stagnante che si osserva dai primi anni ’90. Un
qualsiasi ricercatore si sentirebbe tranquillo nel prevedere una
deindustrializzazione ineluttabile – cioè il
declino – dopo quindici anni di brutta tendenza macrostatistica. Ed
è probabilmente tale fatto, unito all’aver dimenticato che l’Italia non si
comporta come i modelli standard, che impedisce anche a tecnici competenti di
vedere i segnali che vanno in direzione opposta. Dal
2002 in
poi un impressionante numero di aziende, grandi e
piccole, sta invertendo la tendenza a sparire per crisi competitiva. Per
cui ciò che non quadra è che alla stagnazione endemica, complicata dalla
difficoltà ad equilibrare i conti statali appesantiti da un debito storico
gigantesco, in realtà non corrisponde il declino industriale.
La Fiat
sull’orlo della chiusura si è ripresa e può puntare al rilancio.
La Finmeccanica
del grande Guarguaglini ha fatto un vero e proprio
miracolo trasformandosi da preda ormai morente in predatore globale.
Fincantieri ha appena concluso
un contratto che le farà dominare il 50% del mercato mondiale delle grandi
navi. Indizio che la grande industria c’è e può essere ancora fatta in
Italia.
La Brembo
ha appena compiuto una mossa espansiva da applauso, esempio delle tante
multinazionali tascabili italiane che stanno crescendo globalmente. Migliaia di
piccole aziende si stanno riorganizzando e crescendo, alcune,
come
la Worldgem
di Vicenza, mostrando l’ottima
novità di indirizzarsi verso la quotazione in Borsa invece che temerla.
La Finambiente
di Brescia raccoglie soci imprenditori capaci di rischiare milioni di
euro sulle prospettive di un brevetto rivoluzionario (lo è) in materia
di trattamento rifiuti.
La Sessa
è appena sbarcata in Florida. Esempi, questi, di una generale ripresa della
cultura del rischio imprenditoriale. Infatti
l’indice ISAE che misura la vitalità delle imprese ne segnala un’impennata.
Tali dati sostengono l’ipotesi che la società italiana, la sua economia
reale, sia così forte da riorganizzarsi di fronte alle sfide competitive
nonostante condizioni interne ed esterne sfavorevoli.
Nel passato proprio l’Economist
segnalò questa capacità, unica al mondo, dell’Italia, ma di recente non ha
voluto vederne l’ennesima replica, perfino negandola. Pertanto
va segnalata al nuovo direttore del settimanale
l’opportunità di fare una nuova inchiesta più obiettiva. Da titolare, in
onore di Torino rinata: declina minga, esageruma
nen. Dolce
vita is back.
Carlo Pelanda