Come evitare danni irreparabili nella caduta del valore geopolitico dell’Italia
Di Carlo Pelanda (9-5-2006)
S’è già trovato il termine che
descriverà l’effetto di un governo di
centrosinistra che promette di durare due o tre anni:
“degeopoliticizzazione” dell’Italia.
Il governo di Silvio Berlusconi, dal
Roma nelle mappe della grande geopolitica mondiale.
Nella spaccatura
venutasi a creare tra eurasiatici ed euroatlantici,
il ruolo del
nostro paese fu decisivo per la vittoria degli euroatlantici,
isolando
responsabilità il nostro paese divenne più importante e rispettato
nell’Unione europea. L’azione di inclusione
nell’occidente e in
Europa sia di Mosca sia di Ankara fu un segnale intelligente lanciato
ai Grandi, un segnale che diceva: quando si decidono le cose
importanti a livello di politica internazionale, l’Italia deve essere
consultata, e non esclusa.
Il buon rapporto del governo Berlusconi con lo stato
di Israele
portò, poi, l’Italia alla soglia di un tale livello di partnership
europea nei confronti degli Stati Uniti d’America e di
influenza
dell’area mediterranea da impensierire seriamente il Regno Unito che
riteneva acquisita definitivamente per sé questa posizione. Non è
escluso, per esempio, che gli attacchi a Berlusconi
da parte di
testate come l’Economist, e di altri
protagonisti del mondo
finanziario, siano dovuti alla percezione da parte dell’establishment
inglese che Roma stava diventando un temibile competitore
intraoccidentale di Londra.
Ma ora il governo di centrosinistra certamente non vorrà mantenere
questa politica di alto profilo e di netta scelta di campo, e,
probabilmente, questo farà implodere il valore geopolitico
acquisito
dall’Italia. Inoltre, il nuovo governo di Roma non si opporrà più
all’interesse francese di dominare le risorse italiane cruciali
(banche, armi ed energia) per aumentare la sua capacità di
bilanciamento del riemergente potere della Germania in
asse con gli
Stati Uniti. Romano Prodi ha un relazione speciale con
Parigi, e
buona parte del suo governo sarà fatta da gente che ha preso la
medaglietta dall’Accademia di Francia. La sinistra, inoltre, non
favorirà l’impegno italiano di polizia internazionale, anzi. I
prodromi di questo disimpegno già si vedono nelle polemiche,
scatenatesi dopo i due attentati mortali di Nassiriyah
e Kabul, sulla
presenza dei nostri soldati in Iraq (e questo era scontato) ma anche
in Afghanistan.
In sintesi, questa rubrica intravede il rischio di un indebolimento
generalizzato dell’intero occidente causato dal cambio di
collocazione internazionale dell’Italia. Ma il danno
resterà
riparabile. Sarebbe, invece, irreparabile l’attuazione dell’idea che
alcuni a sinistra coltivano. L’idea, sponsorizzata da
interessi
esterni, di rinunciare a una industria nazionale degli
armamenti e
alla partecipazione al programma Joint Strike Fighter
voluta, a suo
tempo, dall’occidentalista Beniamino Andreatta. Abbandonare questo
progetto non vuole dire solo venir meno alla progettazione di un
aereo, ma uscire da un sistema interoperabile che connette tutti i
membri “veri” della Nato. Il non farne parte
implicherebbe l’uscita
di fatto dall’Alleanza atlantica. Cedere, eventualmente e come si
vocifera in certi ambienti, Finmeccanica ai francesi
significherebbe
rinunciare a sedersi ai tavoli che contano, tavoli
ai quali invece
oggi ci si siede e si contratta. Come evitare almeno
queste due
fesserie irreparabili? Non è una minaccia, è una previsione, ma se si
farà tentare da queste scelte il governo cadrà subito. Quindi al
centrosinistra conviene mettere un serio occidentalista al ministero
della Difesa.
Carlo Pelanda