Come evitare danni irreparabili nella caduta del valore geopolitico dell’Italia

 

Di Carlo Pelanda (9-5-2006)

 

S’è già trovato il termine che descriverà l’effetto di un governo di 
centrosinistra che promette di durare due o tre anni: 
degeopoliticizzazione” dell’Italia.
Il governo di Silvio Berlusconi, dal 2002 in poi, aveva reintrodotto 
Roma nelle mappe della grande geopolitica mondiale. Nella spaccatura 
venutasi a creare tra eurasiatici ed euroatlantici, il ruolo del 
nostro paese fu decisivo per la vittoria degli euroatlantici, 
isolando la Francia e la Germania. Proprio per questa assunzione di 
responsabilità il nostro paese divenne più importante e rispettato 
nell’Unione europea. L’azione di inclusione nell’occidente e in 
Europa sia di Mosca sia di Ankara fu un segnale intelligente lanciato 
ai Grandi, un segnale che diceva: quando si decidono le cose 
importanti a livello di politica internazionale, l’Italia deve essere 
consultata, e non esclusa.
Il buon rapporto del governo Berlusconi con lo stato di  Israele 
portò, poi, l’Italia alla soglia di un tale livello di partnership 
europea nei confronti degli Stati Uniti d’America e di influenza 
dell’area mediterranea da impensierire seriamente il Regno Unito che 
riteneva acquisita definitivamente per sé questa posizione. Non è 
escluso, per esempio, che gli attacchi a Berlusconi da parte di 
testate come l’Economist, e di altri protagonisti del mondo 
finanziario, siano dovuti alla percezione da parte dell’establishment 
inglese che Roma stava diventando un temibile competitore 
intraoccidentale di Londra.
Ma ora il governo di centrosinistra certamente non vorrà mantenere 
questa politica di alto profilo e di netta scelta di campo, e, 
probabilmente, questo farà implodere il valore geopolitico acquisito 
dall’Italia. Inoltre, il nuovo governo di Roma non si opporrà più 
all’interesse francese di dominare le risorse italiane cruciali 
(banche, armi ed energia) per aumentare la sua capacità di 
bilanciamento del riemergente potere della Germania in asse con gli 
Stati Uniti. Romano Prodi ha un relazione speciale con Parigi, e 
buona parte del suo governo sarà fatta da gente che ha preso la 
medaglietta dall’Accademia di Francia. La sinistra, inoltre, non 
favorirà l’impegno italiano di polizia internazionale, anzi. I 
prodromi di questo disimpegno già si vedono nelle polemiche, 
scatenatesi dopo i due attentati mortali di Nassiriyah e Kabul, sulla 
presenza dei nostri soldati in Iraq (e questo era scontato) ma anche 
in Afghanistan.
In sintesi, questa rubrica intravede il rischio di un indebolimento 
generalizzato dell’intero occidente causato dal cambio di 
collocazione internazionale dell’Italia. Ma il danno resterà 
riparabile. Sarebbe, invece, irreparabile l’attuazione dell’idea che 
alcuni a sinistra coltivano. L’idea, sponsorizzata da interessi 
esterni, di rinunciare a una industria nazionale degli armamenti e 
alla partecipazione al programma Joint Strike Fighter voluta, a suo 
tempo, dall’occidentalista Beniamino Andreatta. Abbandonare questo 
progetto non vuole dire solo venir meno alla progettazione di un 
aereo, ma uscire da un sistema interoperabile che connette tutti i 
membri “veri” della Nato. Il non farne parte implicherebbe l’uscita 
di fatto dall’Alleanza atlantica. Cedere, eventualmente e come si 
vocifera in certi ambienti, Finmeccanica ai francesi significherebbe 
rinunciare a  sedersi ai tavoli che contano, tavoli ai quali invece 
oggi ci si siede e si contratta. Come evitare almeno queste due 
fesserie irreparabili? Non è una minaccia, è una previsione, ma se si 
farà tentare da queste scelte il governo cadrà subito. Quindi al 
centrosinistra conviene mettere un serio occidentalista al ministero 
della Difesa.
Carlo Pelanda