Londra in realtà ora ci punta, sono i perfidi continentali che non la vogliono nell’euro

 

Di Carlo Pelanda (23-6-2001)

 

Anglodissea. E’ percezione diffusa che siano prevalenti i motivi di politica interna ad ostacolare l’adesione del Regno Unito all’euro. Questi certamente esistono e pesano. Ma il punto principale dello scenario è che i poteri europei, cioè Francia e Germania, non hanno mai seriamente invitato Londra nel club. “Seriamente” significa orientare il disegno dell’Unione Europea verso una configurazione che possa ospitare senza imbarazzi il modello inglese, cioè dare all’”allargamento a ovest” la stessa priorità di quello ad est. Non ve ne traccia nella storia recente e nelle agende prossime. Le èlite inglesi sono sempre più inquiete. Temono, in prospettiva: (a) la marginalizzazione della piazza finanziaria londinese; (b) svantaggi competitivi per le industrie residenti; (c) la riduzione della rilevanza geopolitica del Regno Unito. Sono preoccupazioni giustificate. Washington, pragmaticamente, riconosce come interlocutori privilegiati i poteri reali. L’Unione Europea, pur ancora fantasma, lo sta diventando. Londra resterà rilevante per gli americani solo se potrà influenzare Bruxelles. Ma senza essere parte dell’eurozona, pur partner Ue, non le sarà possibile. Esclusa dalla terra lo sarà anche dal mare. Poi, nel futuro, è prevedibile un’evoluzione “per necessità”, nonostante le volontà socialprotezionistiche ancora forti, dell’economia continentale verso una configurazione più liberalizzata. Tale sviluppo del “sottostante” porterà l’euro ad oscillare in modo tendenzialmente convergente con il dollaro e, quindi, a stabilizzarlo come seconda moneta mondiale. Ciò rinforzerà l’attrattività delle euroborse e della finanza in euro. La sterlina dollarizzata sarà solo una complicazione inutile, senza i vantaggi off-shore del franco svizzero. In sintesi, lo scenario imporrebbe a Londra un balzo immediato nell’euro e le èlite inglesi lo sanno. Ma giovedì scorso Sir Eddie George, governatore della Banca d’Inghilterra, e Gordon Brown, cancelliere dello Scacchiere, hanno congelato l’attesa di un’adesione accelerata suscitata dalla vittoria elettorale di Blair. In un modo strano. Non ci sono, hanno detto, ancora le cinque condizioni (liberalizzazione del mercato europeo, configurazione intergovernativa della Ue, ecc.) che permetterebbero a Londra di decidere di entrare. In realtà queste condizioni sono talmente astratte – l’iperliberista Irlanda sguazza soddisfatta e sovrana nell’eurolager  -   da sembrare un paravento per coprire il fatto sostanziale che Londra non riesce a negoziare la propria entrata pur volendola. E’ vero che la trattativa sarebbe molto complicata: gli altri europei dovrebbero concedere  privilegi e garanzie tali da indurre la maggioranza degli inglesi a votare favorevolmente nel referendum. Ma il problema principale è a monte: nessun europotere, sbagliando, ritiene che l’entrata di Londra nell’euro valga questa fatica. Io sì, spero anche il nuovo governo italiano, ma devo registrare che l’anglodissea continua.