Ripresa globale
lenta ma non recessione
Di Carlo Pelanda (5-7-2010)
Molti temono che
l’economia globale ricada in recessione nei prossimi mesi. La ripresa negli
Stati Uniti è zoppicante in settori portanti quali l’occupazione ed il settore
immobiliare. La Cina mostra segni di calo della produzione industriale oltre
che di squilibrio finanziario e di tensione sociale. La tendenza stagnante
dell’Eurozona, dovuta ad un modello economico che soffoca il mercato, è
appesantita dalla priorità del riequilibrio dei conti pubblici, politica che
implica una minor immissione di denari in deficit nel sistema economico. Il
rigore viene applicato senza bilanciarne l’impatto deflazionistico con stimoli
alla crescita e ciò promette recessione. La sfiducia sull’euro per l’inconsistenza
della sua architettura politica ha comportato una sua svalutazione attorno al
15% sul dollaro e sullo yuan. Che ha fatto bene all’export europeo, soprattutto
italiano e tedesco, ma sta mettendo in difficoltà quello statunitense e cinese.
Bisogna ricordare, infatti, che Obama ha puntato
sulla svalutazione del dollaro per accelerare la ripresa e per ridurre gli
squilibri di eccesso di importazioni cinesi ed europee sfavorevoli
all’industria americana. E che la Cina ha un modello di crescita basato sulle esportazioni che sta cercando di
cambiare, aumentando la crescita del mercato interno, ma con poca speranza di
riuscirci in tempi utili per questa fase di crisi. Giustamente, qualche
economista si è chiesto: se America, Europa e Cina vogliono uscire dalla crisi
via export pompato con svalutazioni competitive, chi importerà? Obama, nell’ultimo G20, ha risposto: non pensate sia l’America.
E questo, in sintesi, è il problema. Nel passato fu sempre l’America a fare da
locomotiva per trainare gli altri fuori dalle recessioni. Ora non più. Ma
l’economia globale, e quindi l’Italia, ricadrà veramente in recessione?
Penso di no, per i
seguenti motivi. Tipicamente, dopo le recessioni, le aziende aumentano i
fatturati senza ri-assumere il personale licenziato e forzando la produttività
degli occupati, per esempio con un ampio ricorso agli straordinari. Tale
processo aumenta i margini di profitto che servono a ripagare i debiti con le
banche contratti nella fase bassa. Il fenomeno non può dirsi negativo sul piano
tecnico. Ovviamente il ritardo nel recupero dell’occupazione pesa
sull’ottimismo economico e rallenta la ripresa dei consumi e di alcuni
investimenti. In America sta succedendo questo, e non una nuova recessione. E’
una fase normale della ripresa. La Cina è più preoccupante perché è come una
trottola che se non continua a girare crolla di colpo, riducendo le
importazioni. Succederà prima o poi, ci sarà un botto globale, ma non nei prossimi
due o tre anni. L’Eurozona è più a rischio di recessione indotta dalla
deflazione eccessiva imposta dai tagli di bilancio, ma alla fine questi verranno attutiti proprio per evitare
impoverimenti e rivolte, già lo si “annusa”. Gli andamenti di Borsa non fanno
testo perché amplificano o in su o giù le emozioni del momento e quando gli
operatori vedranno che la recessione non c’è torneranno su (anche perché in
Borsa si guadagna con il saliscendi e non con la stabilità). L’unica possibile
causa di ricaduta in recessione, guerre a parte, è lo stato delle banche e la
loro tendenza a restringere il credito. Ma, se i governi non esagerano con le
restrizioni e le Banche centrali mantengono il sostegno, questo problema potrà
rallentare la ripresa, non invertirla. In conclusione, mi sento di proporre uno
scenario di ripresa globale che resta lenta, densa di problemi, ma non recessivo.
Quindi ottimistico.
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