Il requisito del
deficit zero imporrà il ridisegno dello Stato sociale
Di Carlo Pelanda (31-5-2010)
Il fatto che i
mercati non siano più disposti a rifinanziare il debito delle euronazioni se queste non dimostrano la capacità di contenerlo
e poi ridurlo, chiude una stagione storica del modello di welfare europeo: nel
futuro non sarà più possibile finanziare in deficit gli apparati enormi e le
garanzie generose dello Stato sociale. E’ un cambiamento epocale che dobbiamo
tutti imparare a capire e gestire.
Il taglio, in
Italia, di 24 miliardi di spesa pubblica
nel prossimo biennio è solo l’inizio di un processo di riequlibrio
dettato dalla necessità di mostrare subito ai mercati che l’Italia è capace di
rigore e di perseguirlo nonostante le ovvie proteste degli interessi colpiti.
In caso contrario l’Italia verrebbe messa nella lista dei Paesi a debito
insostenibile. Ma, finita questa emergenza contingente, poi l’Italia dovrà
mostrarsi capace di rispettare Il nuovo requisito europeo del “bilancio in
pareggio”. Già nel 2009 la Germania ha messo in Costituzione tale obbligo, dal
2016 per il livello federale e dal 2020 per le istituzioni locali. Per arrivarci
dovrà tagliare circa dieci miliardi di spesa strutturale ogni anno ed il
governo Merkel ha confermato tale intento. La Francia
ha annunciato qualcosa di simile e sta studiando il meccanismo istituzionale per arrivarci. L’Italia, se non
vuole uscire dall’euro e rischiare l’insolvenza del suo debito, dovrà fare lo
stesso. Significa, con una prima stima ad occhio, dover tagliare in 5 anni dai
50 ai 60 miliardi di spesa pubblica per arrivare al pareggio di bilancio, cioè
ridurre a zero o quasi il deficit pubblico annuo, in modo da contenere
l’aumento del debito complessivo. Tale nuovo requisito sostituirà il vecchio europaramentro che ammetteva un deficit fino al 3% del Pil (cioè
45 miliardi circa). Un taglio del genere in cinque o sei anni implica una tale
riduzione dei costi pubblici da indurre una modifica del modello di Stato
sociale con apparati amministrativi di grande volume. Se la crescita del Pil
aumenterà oltre le attese e l’inflazione resterà bassa, allora l’impatto sarà
più morbido, ma non al punto da modificare la necessità di cambio del modello.
Inoltre il rigore senza crescita non basterà e la seconda è ottenibile solo
tagliando le tasse, requisito che aumenterà il volume dei tagli strutturali
sopra ipotizzati. Questo è lo scenario che la politica dovrà affrontare nei
prossimi 5 anni. Ma sia in Italia sia nell’Eurozona non è pronta a cambiare
modello. Prova ne è che i tagli finora intervenuti, e quelli in corso, cercano
di mantenere il vecchio modello finanziandolo di meno e aumentando le tasse o
non riducendole. Così si arriva all’assurdo di ridurre le garanzie per i bisognosi,
mantenere i costi inutili degli apparati e comprimere la crescita del Pil. Per
un po’ tale politica, se sostenuta da più crescita trainata dall’export grazie
alla svalutazione dell’euro, potrà tenere, ma ad un certo punto esploderà il
problema che lo Stato sociale non potrà essere ridotto senza essere
ridisegnato. Senza un nuovo modello, infatti, i tagli del vecchio o produrranno
una rivolta sociale o non basteranno per lo scopo o indurranno una deflazione
distruttiva per assenza di crescita. Per questo l’interrogativo principale
riguarda la capacità della politica sia di concepire un nuovo modello di
welfare con minori costi d’apparato, garanzie più sostenibili e con un fisco
più favorevole alla crescita sia di conquistare il consenso per realizzarlo. Speriamo
la trovi, ma va registrato che al
momento, in tutta Europa, non dimostra di averla.