Il G20 debole lascia
libero il capitalismo di ricostruirsi come era prima della crisi
Di Carlo Pelanda (28-6-2010)
Il G20 è un forum
che semplicemente registra le posizioni delle maggiori potenze economiche del
pianeta con l’unico valore aggiunto di moderare le loro divergenze. Nell’estate
del 2009 Barack Obama ha
trasferito dal G7 al G20, con mossa sostanzialmente unilaterale, la missione di
prevenzione e gestione coordinata delle crisi globali (il G8 comprende la
Russia e tratta materie di sicurezza) per includere potenze emergenti quali Cina, India e Brasile
nelle consultazioni. Il mondo si è “ingrandito” e così doveva fare anche il suo
luogo di governo-consultazione, si disse. Ma in realtà Obama
ha voluto con tale mossa ridurre il rilievo dell’alleanza con gli europei e con
il Giappone, considerati potenze decadute, e tentare la costruzione di un G2 sinoamericano come diarchia di comando sul pianeta. Il G7
non ha mai funzionato – salvo il coordinamento tra banche centrali - per la divergenza endemica tra America che
premeva europei e Giappone a crescere di più e a dipendere meno dall’export e
questi che non volevano o potevano ridurre i protezionismi sociali nei loro
mercati interni. Il G20 replica questa situazione, amplificandola, e per questo
non ha alcuna speranza di funzionare. Inoltre Il G2 tra America e Cina, pur mostrando
qualche episodio di minimo accordo, è viziato da una sostanziale divergenza tra
i due. Ciò rende il G20 un luogo di interessi contrapposti senza un potere
capace di comporli, un forum appunto, utile solo perché vincola i partecipanti
a moderare le espressioni di conflitto. Sarebbe ridicolo, come fanno alcuni,
ritenere il G20 un luogo di governo dell’economia mondiale. Ma chi la governa,
allora?
Le cose importanti le
decidono America, Cina e Germania, leader delle tre aree monetarie principali
del pianeta, e lo fanno in un gioco continuamente cangiante di coalizioni.
America e Cina hanno l’interesse che l’euro resti alto perché ambedue crescono
grazie alla svalutazione competitiva delle loro monete. L’America ha interesse
che la moneta cinese (yuan) si sganci dal dollaro e si rivaluti per ridurre il
deficit commerciale statunitense. Gli
europei hanno un interesse simile. La Cina ha attuato lo sganciamento, ma ha
ridotto al minimo la rivalutazione dello yuan, cosa da molti commentata come
presa in giro. La Russia ora si sente pronta per entrare nell’organizzazione
mondiale del commercio (Wto) e ha chiesto all’America di aiutarne l’ammissione,
concessa in cambio di un bilaterale meno aspro e di commesse all’industria
statunitense contro quella europea. La Germania ha interesse a tassare le
transazioni finanziarie, ma America, Cina (inglesi ed italiani) le dicono di
no. Obama ha interesse a regolare le operazioni
bancarie in modo molto stringente, per motivi elettorali. la Germania vuole
tassarle proprio per non regolarle e la Cina neanche ci pensa. Alla fine, che cosa emerge in questa varietà
di giochi multipli? Tre tendenze: (a) la regolazione delle banche e dei sistemi
finanziari, che richiede standard mondiali, non trova consenso sufficiente e
quindi sarà meno repressiva ed indurrà minori restrizioni al credito di quanto
si temeva; (b) la Cina continuerà ad essere generatrice di squilibri globali,
ma con una nuova consapevolezza a moderarsi, cosa che allontana di un po’ la
prossima crisi mondiale; (c) il mancato coordinamento tra i governi - con
preoccupazione di Draghi espressa in inusuale lettera al G20 - lascia libero il capitalismo globale e finanziarizzato di ricostruirsi dopo la crisi esattamente
come era prima. La terza tendenza è la più difficile da commentare perché
contiene una promessa sia di grande sviluppo sia di futura megacrisi.